by redazione | 28 Aprile 2014 8:50
«Il governo ha intrapreso una strada corretta: ridurre i costi “non derivanti dal mercato” dell’energia elettrica invece che spostarli tra una classe di consumatori e l’altra. Già due anni fa l’Autorità aveva spiegato che la vera soluzione del problema caro-energia non si ha con un gioco a somma zero tra categorie diverse di consumatori, ma riducendo laddove possibile gli oneri generali di sistema che gravano sulla bolletta tramite una vera e propria spending review».
Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia, promuove i propositi del governo di abbattere del 10% il costo della bollette, ma avverte anche che a questo calo – che l’esecutivo vuole destinare alle piccole e medie imprese – non può corrispondere un aumento dei prezzi dell’energia per le famiglie. E invita a disboscare quella giungla di voci che pesano in modo improprio su quanto paghiamo: «Oneri fiscali, oneri parafiscali come il vecchio Cip6, e costi relativi alle reti sono tre voci non legate al prezzo di mercato dell’energia. E fanno assieme il 50% della bolletta elettrica. Nel 2013 i soli oneri parafiscali hanno pesato complessivamente per 13,7 miliardi di euro sulle bollette. Un fardello mostruoso».
Ma dove si potrebbe agire in concreto per tagliare questo oneri?
«Negli oneri parafiscali ci sono diverse voci che potrebbero essere ridotte per ridare spazio alla componente di mercato della spesa energetica, anche se l’Autorità da sola non può farlo. Ad esempio c’è un’agevolazione di cui usufruiscono le società di trasporto ferroviario che ammonta a oltre 300 milioni l’anno e grava sulla bolletta: potrebbe essere ridotta. Poi ci potrebbero essere riduzioni sugli incentivi alle fonti rinnovabili senza toccare ovviamente i diritti acquisiti, pensando a meccanismi di dilazione nel tempo anche su base volontaria».
La riduzione per le imprese varrà circa un miliardo. Tecnicamente ci potrebbe essere spazio anche per ridurre le bollette degli utenti domestici?
«È presto per dirlo. Quel che è sicuro è che non si può pensare di sgravare le Pmi aggravando però la spesa energetica delle famiglie».
Sulla liberalizzazione del mercato elettrico pesa intanto un dato paradossale: sette anni dopo l’apertura, i prezzi dei consumatori domestici «tutelati» con le tariffe decise dall’Autorità possono essere più bassi di quelli del mercato libero. È il segno di un fallimento?
«No, è il segno di alcune caratteristiche strutturali del mercato domestico, prima fra tutte quella che in Italia si usa troppo poco Internet. Ad esempio, i contratti sul web possono avere prezzi inferiori a quelli “tutelati”, ma da noi la maggioranza sono stipulati con un’offerta porta a porta che dovendo remunerare la rete commerciale ha dei costi necessariamente superiori a quelli dell’offerta web».
Con la riforma del mercato del gas, invece, le bollette sono scese del 12% circa in un anno. È un trend che continuerà?
«Con la riforma abbiamo ridotto il prezzo all’ingrosso del gas del 25% circa, muovendoci in base all’idea che la concorrenza sui mercati gas all’ingrosso porti i più vasti benefici di prezzo anche ai consumatori finali. E questa riduzione, visto che in Italia per metà l’elettricità si produce col gas, ha consentito anche di portare il prezzo del Megawattora da 78 euro del 2008 a 55 euro attuali. Ma il problema resta che dal 2009 al 2013 la componente degli oneri parafiscali in bolletta elettrica è triplicata, passando dal 7 al 21% del totale. Tornando al gas, sul futuro non facciamo previsioni. Diciamo che con la nostra riforma ci siamo finalmente agganciati ai prezzi europei e quindi seguiremo la dinamica di questi prezzi».
I produttori elettrici chiedono un aumento del cosiddetto «capacity payment», che mira ad assicurare il mantenimento della capacità produttiva nazionale per garantire la copertura della domanda con i necessari margini di riserva. Quali spazi ci sono?
«La legge di stabilità promossa dal precedente governo dice che si può fare un ulteriore rafforzamento nel breve termine, ma a patto che non si abbiano effetti sulla bolletta dei clienti e consumatori finali. È un punto fondamentale: Ma oggi, oltre a guardare al breve termine,dovremmo allungare la visuale e pensare a stabilire un vero e proprio mercato della capacità produttiva a fianco dei tradizionali mercati all’ingrosso dell’energia, anche per evitare in futuro eccessiva volatilità di prezzo, sempre a beneficio del consumatore. È un’iniziativa che andrebbe presa subito dal governo, che ha una nostra proposta già sottoposta a consultazione e tra le più avanzate in Europa».
La crisi tra Russia e Ucraina ha riaperto il tema della dipendenza energetica italiana ed europea. Quali rischi corriamo?
«La crisi é arrivata in una stagione di consumi molto bassi e in estate i prezzi vanno giù. E con l’arrivo dell’autunno fortunatamente possiamo contare sugli stoccaggi gas più ampi d’Europa, un polmone che ci consente di affrontare anche crisi e tensioni ma non dobbiamo trascurare gli effetti futuri».
Che si può fare nel medio termine?
«La soluzione è quella di diversificare su tre fronti. Bisogna diversificare il rischio fornitori per avere sempre un’alternativa di fronte ad eventuali tensioni di un Paese da cui ci approvvigioniamo; bisogna diversificare le rotte dei gasdotti; bisogna diversificare i mercati contando su nuovi rigassificatori. La ricetta è quindi diversificare la contrattualistica di approvvigionamento. Ma la cosa più importante – non mi stanco di dirlo- è che la diversificazione contrattuale non va fatta a livello nazionale ma a livello europeo, sfruttando i mix e le posizioni geografiche dei diversi Paesi: per esempio l’Italia, vista la sua esposizione costiera, la posizione nel Mediterraneo e gli ottimi collegamenti con il Nord Europa, può divenire un molo straordinario per le forniture gas a livello pan-europeo».
«Il governo ha intrapreso una strada corretta: ridurre i costi “non derivanti dal mercato” dell’energia elettrica invece che spostarli tra una classe di consumatori e l’altra. Già due anni fa l’Autorità aveva spiegato che la vera soluzione del problema caro-energia non si ha con un gioco a somma zero tra categorie diverse di consumatori, ma riducendo laddove possibile gli oneri generali di sistema che gravano sulla bolletta tramite una vera e propria spending review».
Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia, promuove i propositi del governo di abbattere del 10% il costo della bollette, ma avverte anche che a questo calo – che l’esecutivo vuole destinare alle piccole e medie imprese – non può corrispondere un aumento dei prezzi dell’energia per le famiglie. E invita a disboscare quella giungla di voci che pesano in modo improprio su quanto paghiamo: «Oneri fiscali, oneri parafiscali come il vecchio Cip6, e costi relativi alle reti sono tre voci non legate al prezzo di mercato dell’energia. E fanno assieme il 50% della bolletta elettrica. Nel 2013 i soli oneri parafiscali hanno pesato complessivamente per 13,7 miliardi di euro sulle bollette. Un fardello mostruoso».
Ma dove si potrebbe agire in concreto per tagliare questo oneri?
«Negli oneri parafiscali ci sono diverse voci che potrebbero essere ridotte per ridare spazio alla componente di mercato della spesa energetica, anche se l’Autorità da sola non può farlo. Ad esempio c’è un’agevolazione di cui usufruiscono le società di trasporto ferroviario che ammonta a oltre 300 milioni l’anno e grava sulla bolletta: potrebbe essere ridotta. Poi ci potrebbero essere riduzioni sugli incentivi alle fonti rinnovabili senza toccare ovviamente i diritti acquisiti, pensando a meccanismi di dilazione nel tempo anche su base volontaria».
La riduzione per le imprese varrà circa un miliardo. Tecnicamente ci potrebbe essere spazio anche per ridurre le bollette degli utenti domestici?
«È presto per dirlo. Quel che è sicuro è che non si può pensare di sgravare le Pmi aggravando però la spesa energetica delle famiglie».
Sulla liberalizzazione del mercato elettrico pesa intanto un dato paradossale: sette anni dopo l’apertura, i prezzi dei consumatori domestici «tutelati» con le tariffe decise dall’Autorità possono essere più bassi di quelli del mercato libero. È il segno di un fallimento?
«No, è il segno di alcune caratteristiche strutturali del mercato domestico, prima fra tutte quella che in Italia si usa troppo poco Internet. Ad esempio, i contratti sul web possono avere prezzi inferiori a quelli “tutelati”, ma da noi la maggioranza sono stipulati con un’offerta porta a porta che dovendo remunerare la rete commerciale ha dei costi necessariamente superiori a quelli dell’offerta web».
Con la riforma del mercato del gas, invece, le bollette sono scese del 12% circa in un anno. È un trend che continuerà?
«Con la riforma abbiamo ridotto il prezzo all’ingrosso del gas del 25% circa, muovendoci in base all’idea che la concorrenza sui mercati gas all’ingrosso porti i più vasti benefici di prezzo anche ai consumatori finali. E questa riduzione, visto che in Italia per metà l’elettricità si produce col gas, ha consentito anche di portare il prezzo del Megawattora da 78 euro del 2008 a 55 euro attuali. Ma il problema resta che dal 2009 al 2013 la componente degli oneri parafiscali in bolletta elettrica è triplicata, passando dal 7 al 21% del totale. Tornando al gas, sul futuro non facciamo previsioni. Diciamo che con la nostra riforma ci siamo finalmente agganciati ai prezzi europei e quindi seguiremo la dinamica di questi prezzi».
I produttori elettrici chiedono un aumento del cosiddetto «capacity payment», che mira ad assicurare il mantenimento della capacità produttiva nazionale per garantire la copertura della domanda con i necessari margini di riserva. Quali spazi ci sono?
«La legge di stabilità promossa dal precedente governo dice che si può fare un ulteriore rafforzamento nel breve termine, ma a patto che non si abbiano effetti sulla bolletta dei clienti e consumatori finali. È un punto fondamentale: Ma oggi, oltre a guardare al breve termine,dovremmo allungare la visuale e pensare a stabilire un vero e proprio mercato della capacità produttiva a fianco dei tradizionali mercati all’ingrosso dell’energia, anche per evitare in futuro eccessiva volatilità di prezzo, sempre a beneficio del consumatore. È un’iniziativa che andrebbe presa subito dal governo, che ha una nostra proposta già sottoposta a consultazione e tra le più avanzate in Europa».
La crisi tra Russia e Ucraina ha riaperto il tema della dipendenza energetica italiana ed europea. Quali rischi corriamo?
«La crisi é arrivata in una stagione di consumi molto bassi e in estate i prezzi vanno giù. E con l’arrivo dell’autunno fortunatamente possiamo contare sugli stoccaggi gas più ampi d’Europa, un polmone che ci consente di affrontare anche crisi e tensioni ma non dobbiamo trascurare gli effetti futuri».
Che si può fare nel medio termine?
«La soluzione è quella di diversificare su tre fronti. Bisogna diversificare il rischio fornitori per avere sempre un’alternativa di fronte ad eventuali tensioni di un Paese da cui ci approvvigioniamo; bisogna diversificare le rotte dei gasdotti; bisogna diversificare i mercati contando su nuovi rigassificatori. La ricetta è quindi diversificare la contrattualistica di approvvigionamento. Ma la cosa più importante – non mi stanco di dirlo- è che la diversificazione contrattuale non va fatta a livello nazionale ma a livello europeo, sfruttando i mix e le posizioni geografiche dei diversi Paesi: per esempio l’Italia, vista la sua esposizione costiera, la posizione nel Mediterraneo e gli ottimi collegamenti con il Nord Europa, può divenire un molo straordinario per le forniture gas a livello pan-europeo».
«Il governo ha intrapreso una strada corretta: ridurre i costi “non derivanti dal mercato” dell’energia elettrica invece che spostarli tra una classe di consumatori e l’altra. Già due anni fa l’Autorità aveva spiegato che la vera soluzione del problema caro-energia non si ha con un gioco a somma zero tra categorie diverse di consumatori, ma riducendo laddove possibile gli oneri generali di sistema che gravano sulla bolletta tramite una vera e propria spending review».
Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia, promuove i propositi del governo di abbattere del 10% il costo della bollette, ma avverte anche che a questo calo – che l’esecutivo vuole destinare alle piccole e medie imprese – non può corrispondere un aumento dei prezzi dell’energia per le famiglie. E invita a disboscare quella giungla di voci che pesano in modo improprio su quanto paghiamo: «Oneri fiscali, oneri parafiscali come il vecchio Cip6, e costi relativi alle reti sono tre voci non legate al prezzo di mercato dell’energia. E fanno assieme il 50% della bolletta elettrica. Nel 2013 i soli oneri parafiscali hanno pesato complessivamente per 13,7 miliardi di euro sulle bollette. Un fardello mostruoso».
Ma dove si potrebbe agire in concreto per tagliare questo oneri?
«Negli oneri parafiscali ci sono diverse voci che potrebbero essere ridotte per ridare spazio alla componente di mercato della spesa energetica, anche se l’Autorità da sola non può farlo. Ad esempio c’è un’agevolazione di cui usufruiscono le società di trasporto ferroviario che ammonta a oltre 300 milioni l’anno e grava sulla bolletta: potrebbe essere ridotta. Poi ci potrebbero essere riduzioni sugli incentivi alle fonti rinnovabili senza toccare ovviamente i diritti acquisiti, pensando a meccanismi di dilazione nel tempo anche su base volontaria».
La riduzione per le imprese varrà circa un miliardo. Tecnicamente ci potrebbe essere spazio anche per ridurre le bollette degli utenti domestici?
«È presto per dirlo. Quel che è sicuro è che non si può pensare di sgravare le Pmi aggravando però la spesa energetica delle famiglie».
Sulla liberalizzazione del mercato elettrico pesa intanto un dato paradossale: sette anni dopo l’apertura, i prezzi dei consumatori domestici «tutelati» con le tariffe decise dall’Autorità possono essere più bassi di quelli del mercato libero. È il segno di un fallimento?
«No, è il segno di alcune caratteristiche strutturali del mercato domestico, prima fra tutte quella che in Italia si usa troppo poco Internet. Ad esempio, i contratti sul web possono avere prezzi inferiori a quelli “tutelati”, ma da noi la maggioranza sono stipulati con un’offerta porta a porta che dovendo remunerare la rete commerciale ha dei costi necessariamente superiori a quelli dell’offerta web».
Con la riforma del mercato del gas, invece, le bollette sono scese del 12% circa in un anno. È un trend che continuerà?
«Con la riforma abbiamo ridotto il prezzo all’ingrosso del gas del 25% circa, muovendoci in base all’idea che la concorrenza sui mercati gas all’ingrosso porti i più vasti benefici di prezzo anche ai consumatori finali. E questa riduzione, visto che in Italia per metà l’elettricità si produce col gas, ha consentito anche di portare il prezzo del Megawattora da 78 euro del 2008 a 55 euro attuali. Ma il problema resta che dal 2009 al 2013 la componente degli oneri parafiscali in bolletta elettrica è triplicata, passando dal 7 al 21% del totale. Tornando al gas, sul futuro non facciamo previsioni. Diciamo che con la nostra riforma ci siamo finalmente agganciati ai prezzi europei e quindi seguiremo la dinamica di questi prezzi».
I produttori elettrici chiedono un aumento del cosiddetto «capacity payment», che mira ad assicurare il mantenimento della capacità produttiva nazionale per garantire la copertura della domanda con i necessari margini di riserva. Quali spazi ci sono?
«La legge di stabilità promossa dal precedente governo dice che si può fare un ulteriore rafforzamento nel breve termine, ma a patto che non si abbiano effetti sulla bolletta dei clienti e consumatori finali. È un punto fondamentale: Ma oggi, oltre a guardare al breve termine,dovremmo allungare la visuale e pensare a stabilire un vero e proprio mercato della capacità produttiva a fianco dei tradizionali mercati all’ingrosso dell’energia, anche per evitare in futuro eccessiva volatilità di prezzo, sempre a beneficio del consumatore. È un’iniziativa che andrebbe presa subito dal governo, che ha una nostra proposta già sottoposta a consultazione e tra le più avanzate in Europa».
La crisi tra Russia e Ucraina ha riaperto il tema della dipendenza energetica italiana ed europea. Quali rischi corriamo?
«La crisi é arrivata in una stagione di consumi molto bassi e in estate i prezzi vanno giù. E con l’arrivo dell’autunno fortunatamente possiamo contare sugli stoccaggi gas più ampi d’Europa, un polmone che ci consente di affrontare anche crisi e tensioni ma non dobbiamo trascurare gli effetti futuri».
Che si può fare nel medio termine?
«La soluzione è quella di diversificare su tre fronti. Bisogna diversificare il rischio fornitori per avere sempre un’alternativa di fronte ad eventuali tensioni di un Paese da cui ci approvvigioniamo; bisogna diversificare le rotte dei gasdotti; bisogna diversificare i mercati contando su nuovi rigassificatori. La ricetta è quindi diversificare la contrattualistica di approvvigionamento. Ma la cosa più importante – non mi stanco di dirlo- è che la diversificazione contrattuale non va fatta a livello nazionale ma a livello europeo, sfruttando i mix e le posizioni geografiche dei diversi Paesi: per esempio l’Italia, vista la sua esposizione costiera, la posizione nel Mediterraneo e gli ottimi collegamenti con il Nord Europa, può divenire un molo straordinario per le forniture gas a livello pan-europeo».
«Il governo ha intrapreso una strada corretta: ridurre i costi “non derivanti dal mercato” dell’energia elettrica invece che spostarli tra una classe di consumatori e l’altra. Già due anni fa l’Autorità aveva spiegato che la vera soluzione del problema caro-energia non si ha con un gioco a somma zero tra categorie diverse di consumatori, ma riducendo laddove possibile gli oneri generali di sistema che gravano sulla bolletta tramite una vera e propria spending review».
Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia, promuove i propositi del governo di abbattere del 10% il costo della bollette, ma avverte anche che a questo calo – che l’esecutivo vuole destinare alle piccole e medie imprese – non può corrispondere un aumento dei prezzi dell’energia per le famiglie. E invita a disboscare quella giungla di voci che pesano in modo improprio su quanto paghiamo: «Oneri fiscali, oneri parafiscali come il vecchio Cip6, e costi relativi alle reti sono tre voci non legate al prezzo di mercato dell’energia. E fanno assieme il 50% della bolletta elettrica. Nel 2013 i soli oneri parafiscali hanno pesato complessivamente per 13,7 miliardi di euro sulle bollette. Un fardello mostruoso».
Ma dove si potrebbe agire in concreto per tagliare questo oneri?
«Negli oneri parafiscali ci sono diverse voci che potrebbero essere ridotte per ridare spazio alla componente di mercato della spesa energetica, anche se l’Autorità da sola non può farlo. Ad esempio c’è un’agevolazione di cui usufruiscono le società di trasporto ferroviario che ammonta a oltre 300 milioni l’anno e grava sulla bolletta: potrebbe essere ridotta. Poi ci potrebbero essere riduzioni sugli incentivi alle fonti rinnovabili senza toccare ovviamente i diritti acquisiti, pensando a meccanismi di dilazione nel tempo anche su base volontaria».
La riduzione per le imprese varrà circa un miliardo. Tecnicamente ci potrebbe essere spazio anche per ridurre le bollette degli utenti domestici?
«È presto per dirlo. Quel che è sicuro è che non si può pensare di sgravare le Pmi aggravando però la spesa energetica delle famiglie».
Sulla liberalizzazione del mercato elettrico pesa intanto un dato paradossale: sette anni dopo l’apertura, i prezzi dei consumatori domestici «tutelati» con le tariffe decise dall’Autorità possono essere più bassi di quelli del mercato libero. È il segno di un fallimento?
«No, è il segno di alcune caratteristiche strutturali del mercato domestico, prima fra tutte quella che in Italia si usa troppo poco Internet. Ad esempio, i contratti sul web possono avere prezzi inferiori a quelli “tutelati”, ma da noi la maggioranza sono stipulati con un’offerta porta a porta che dovendo remunerare la rete commerciale ha dei costi necessariamente superiori a quelli dell’offerta web».
Con la riforma del mercato del gas, invece, le bollette sono scese del 12% circa in un anno. È un trend che continuerà?
«Con la riforma abbiamo ridotto il prezzo all’ingrosso del gas del 25% circa, muovendoci in base all’idea che la concorrenza sui mercati gas all’ingrosso porti i più vasti benefici di prezzo anche ai consumatori finali. E questa riduzione, visto che in Italia per metà l’elettricità si produce col gas, ha consentito anche di portare il prezzo del Megawattora da 78 euro del 2008 a 55 euro attuali. Ma il problema resta che dal 2009 al 2013 la componente degli oneri parafiscali in bolletta elettrica è triplicata, passando dal 7 al 21% del totale. Tornando al gas, sul futuro non facciamo previsioni. Diciamo che con la nostra riforma ci siamo finalmente agganciati ai prezzi europei e quindi seguiremo la dinamica di questi prezzi».
I produttori elettrici chiedono un aumento del cosiddetto «capacity payment», che mira ad assicurare il mantenimento della capacità produttiva nazionale per garantire la copertura della domanda con i necessari margini di riserva. Quali spazi ci sono?
«La legge di stabilità promossa dal precedente governo dice che si può fare un ulteriore rafforzamento nel breve termine, ma a patto che non si abbiano effetti sulla bolletta dei clienti e consumatori finali. È un punto fondamentale: Ma oggi, oltre a guardare al breve termine,dovremmo allungare la visuale e pensare a stabilire un vero e proprio mercato della capacità produttiva a fianco dei tradizionali mercati all’ingrosso dell’energia, anche per evitare in futuro eccessiva volatilità di prezzo, sempre a beneficio del consumatore. È un’iniziativa che andrebbe presa subito dal governo, che ha una nostra proposta già sottoposta a consultazione e tra le più avanzate in Europa».
La crisi tra Russia e Ucraina ha riaperto il tema della dipendenza energetica italiana ed europea. Quali rischi corriamo?
«La crisi é arrivata in una stagione di consumi molto bassi e in estate i prezzi vanno giù. E con l’arrivo dell’autunno fortunatamente possiamo contare sugli stoccaggi gas più ampi d’Europa, un polmone che ci consente di affrontare anche crisi e tensioni ma non dobbiamo trascurare gli effetti futuri».
Che si può fare nel medio termine?
«La soluzione è quella di diversificare su tre fronti. Bisogna diversificare il rischio fornitori per avere sempre un’alternativa di fronte ad eventuali tensioni di un Paese da cui ci approvvigioniamo; bisogna diversificare le rotte dei gasdotti; bisogna diversificare i mercati contando su nuovi rigassificatori. La ricetta è quindi diversificare la contrattualistica di approvvigionamento. Ma la cosa più importante – non mi stanco di dirlo- è che la diversificazione contrattuale non va fatta a livello nazionale ma a livello europeo, sfruttando i mix e le posizioni geografiche dei diversi Paesi: per esempio l’Italia, vista la sua esposizione costiera, la posizione nel Mediterraneo e gli ottimi collegamenti con il Nord Europa, può divenire un molo straordinario per le forniture gas a livello pan-europeo».
«Il governo ha intrapreso una strada corretta: ridurre i costi “non derivanti dal mercato” dell’energia elettrica invece che spostarli tra una classe di consumatori e l’altra. Già due anni fa l’Autorità aveva spiegato che la vera soluzione del problema caro-energia non si ha con un gioco a somma zero tra categorie diverse di consumatori, ma riducendo laddove possibile gli oneri generali di sistema che gravano sulla bolletta tramite una vera e propria spending review».
Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia, promuove i propositi del governo di abbattere del 10% il costo della bollette, ma avverte anche che a questo calo – che l’esecutivo vuole destinare alle piccole e medie imprese – non può corrispondere un aumento dei prezzi dell’energia per le famiglie. E invita a disboscare quella giungla di voci che pesano in modo improprio su quanto paghiamo: «Oneri fiscali, oneri parafiscali come il vecchio Cip6, e costi relativi alle reti sono tre voci non legate al prezzo di mercato dell’energia. E fanno assieme il 50% della bolletta elettrica. Nel 2013 i soli oneri parafiscali hanno pesato complessivamente per 13,7 miliardi di euro sulle bollette. Un fardello mostruoso».
Ma dove si potrebbe agire in concreto per tagliare questo oneri?
«Negli oneri parafiscali ci sono diverse voci che potrebbero essere ridotte per ridare spazio alla componente di mercato della spesa energetica, anche se l’Autorità da sola non può farlo. Ad esempio c’è un’agevolazione di cui usufruiscono le società di trasporto ferroviario che ammonta a oltre 300 milioni l’anno e grava sulla bolletta: potrebbe essere ridotta. Poi ci potrebbero essere riduzioni sugli incentivi alle fonti rinnovabili senza toccare ovviamente i diritti acquisiti, pensando a meccanismi di dilazione nel tempo anche su base volontaria».
La riduzione per le imprese varrà circa un miliardo. Tecnicamente ci potrebbe essere spazio anche per ridurre le bollette degli utenti domestici?
«È presto per dirlo. Quel che è sicuro è che non si può pensare di sgravare le Pmi aggravando però la spesa energetica delle famiglie».
Sulla liberalizzazione del mercato elettrico pesa intanto un dato paradossale: sette anni dopo l’apertura, i prezzi dei consumatori domestici «tutelati» con le tariffe decise dall’Autorità possono essere più bassi di quelli del mercato libero. È il segno di un fallimento?
«No, è il segno di alcune caratteristiche strutturali del mercato domestico, prima fra tutte quella che in Italia si usa troppo poco Internet. Ad esempio, i contratti sul web possono avere prezzi inferiori a quelli “tutelati”, ma da noi la maggioranza sono stipulati con un’offerta porta a porta che dovendo remunerare la rete commerciale ha dei costi necessariamente superiori a quelli dell’offerta web».
Con la riforma del mercato del gas, invece, le bollette sono scese del 12% circa in un anno. È un trend che continuerà?
«Con la riforma abbiamo ridotto il prezzo all’ingrosso del gas del 25% circa, muovendoci in base all’idea che la concorrenza sui mercati gas all’ingrosso porti i più vasti benefici di prezzo anche ai consumatori finali. E questa riduzione, visto che in Italia per metà l’elettricità si produce col gas, ha consentito anche di portare il prezzo del Megawattora da 78 euro del 2008 a 55 euro attuali. Ma il problema resta che dal 2009 al 2013 la componente degli oneri parafiscali in bolletta elettrica è triplicata, passando dal 7 al 21% del totale. Tornando al gas, sul futuro non facciamo previsioni. Diciamo che con la nostra riforma ci siamo finalmente agganciati ai prezzi europei e quindi seguiremo la dinamica di questi prezzi».
I produttori elettrici chiedono un aumento del cosiddetto «capacity payment», che mira ad assicurare il mantenimento della capacità produttiva nazionale per garantire la copertura della domanda con i necessari margini di riserva. Quali spazi ci sono?
«La legge di stabilità promossa dal precedente governo dice che si può fare un ulteriore rafforzamento nel breve termine, ma a patto che non si abbiano effetti sulla bolletta dei clienti e consumatori finali. È un punto fondamentale: Ma oggi, oltre a guardare al breve termine,dovremmo allungare la visuale e pensare a stabilire un vero e proprio mercato della capacità produttiva a fianco dei tradizionali mercati all’ingrosso dell’energia, anche per evitare in futuro eccessiva volatilità di prezzo, sempre a beneficio del consumatore. È un’iniziativa che andrebbe presa subito dal governo, che ha una nostra proposta già sottoposta a consultazione e tra le più avanzate in Europa».
La crisi tra Russia e Ucraina ha riaperto il tema della dipendenza energetica italiana ed europea. Quali rischi corriamo?
«La crisi é arrivata in una stagione di consumi molto bassi e in estate i prezzi vanno giù. E con l’arrivo dell’autunno fortunatamente possiamo contare sugli stoccaggi gas più ampi d’Europa, un polmone che ci consente di affrontare anche crisi e tensioni ma non dobbiamo trascurare gli effetti futuri».
Che si può fare nel medio termine?
«La soluzione è quella di diversificare su tre fronti. Bisogna diversificare il rischio fornitori per avere sempre un’alternativa di fronte ad eventuali tensioni di un Paese da cui ci approvvigioniamo; bisogna diversificare le rotte dei gasdotti; bisogna diversificare i mercati contando su nuovi rigassificatori. La ricetta è quindi diversificare la contrattualistica di approvvigionamento. Ma la cosa più importante – non mi stanco di dirlo- è che la diversificazione contrattuale non va fatta a livello nazionale ma a livello europeo, sfruttando i mix e le posizioni geografiche dei diversi Paesi: per esempio l’Italia, vista la sua esposizione costiera, la posizione nel Mediterraneo e gli ottimi collegamenti con il Nord Europa, può divenire un molo straordinario per le forniture gas a livello pan-europeo».
«Il governo ha intrapreso una strada corretta: ridurre i costi “non derivanti dal mercato” dell’energia elettrica invece che spostarli tra una classe di consumatori e l’altra. Già due anni fa l’Autorità aveva spiegato che la vera soluzione del problema caro-energia non si ha con un gioco a somma zero tra categorie diverse di consumatori, ma riducendo laddove possibile gli oneri generali di sistema che gravano sulla bolletta tramite una vera e propria spending review».
Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia, promuove i propositi del governo di abbattere del 10% il costo della bollette, ma avverte anche che a questo calo – che l’esecutivo vuole destinare alle piccole e medie imprese – non può corrispondere un aumento dei prezzi dell’energia per le famiglie. E invita a disboscare quella giungla di voci che pesano in modo improprio su quanto paghiamo: «Oneri fiscali, oneri parafiscali come il vecchio Cip6, e costi relativi alle reti sono tre voci non legate al prezzo di mercato dell’energia. E fanno assieme il 50% della bolletta elettrica. Nel 2013 i soli oneri parafiscali hanno pesato complessivamente per 13,7 miliardi di euro sulle bollette. Un fardello mostruoso».
Ma dove si potrebbe agire in concreto per tagliare questo oneri?
«Negli oneri parafiscali ci sono diverse voci che potrebbero essere ridotte per ridare spazio alla componente di mercato della spesa energetica, anche se l’Autorità da sola non può farlo. Ad esempio c’è un’agevolazione di cui usufruiscono le società di trasporto ferroviario che ammonta a oltre 300 milioni l’anno e grava sulla bolletta: potrebbe essere ridotta. Poi ci potrebbero essere riduzioni sugli incentivi alle fonti rinnovabili senza toccare ovviamente i diritti acquisiti, pensando a meccanismi di dilazione nel tempo anche su base volontaria».
La riduzione per le imprese varrà circa un miliardo. Tecnicamente ci potrebbe essere spazio anche per ridurre le bollette degli utenti domestici?
«È presto per dirlo. Quel che è sicuro è che non si può pensare di sgravare le Pmi aggravando però la spesa energetica delle famiglie».
Sulla liberalizzazione del mercato elettrico pesa intanto un dato paradossale: sette anni dopo l’apertura, i prezzi dei consumatori domestici «tutelati» con le tariffe decise dall’Autorità possono essere più bassi di quelli del mercato libero. È il segno di un fallimento?
«No, è il segno di alcune caratteristiche strutturali del mercato domestico, prima fra tutte quella che in Italia si usa troppo poco Internet. Ad esempio, i contratti sul web possono avere prezzi inferiori a quelli “tutelati”, ma da noi la maggioranza sono stipulati con un’offerta porta a porta che dovendo remunerare la rete commerciale ha dei costi necessariamente superiori a quelli dell’offerta web».
Con la riforma del mercato del gas, invece, le bollette sono scese del 12% circa in un anno. È un trend che continuerà?
«Con la riforma abbiamo ridotto il prezzo all’ingrosso del gas del 25% circa, muovendoci in base all’idea che la concorrenza sui mercati gas all’ingrosso porti i più vasti benefici di prezzo anche ai consumatori finali. E questa riduzione, visto che in Italia per metà l’elettricità si produce col gas, ha consentito anche di portare il prezzo del Megawattora da 78 euro del 2008 a 55 euro attuali. Ma il problema resta che dal 2009 al 2013 la componente degli oneri parafiscali in bolletta elettrica è triplicata, passando dal 7 al 21% del totale. Tornando al gas, sul futuro non facciamo previsioni. Diciamo che con la nostra riforma ci siamo finalmente agganciati ai prezzi europei e quindi seguiremo la dinamica di questi prezzi».
I produttori elettrici chiedono un aumento del cosiddetto «capacity payment», che mira ad assicurare il mantenimento della capacità produttiva nazionale per garantire la copertura della domanda con i necessari margini di riserva. Quali spazi ci sono?
«La legge di stabilità promossa dal precedente governo dice che si può fare un ulteriore rafforzamento nel breve termine, ma a patto che non si abbiano effetti sulla bolletta dei clienti e consumatori finali. È un punto fondamentale: Ma oggi, oltre a guardare al breve termine,dovremmo allungare la visuale e pensare a stabilire un vero e proprio mercato della capacità produttiva a fianco dei tradizionali mercati all’ingrosso dell’energia, anche per evitare in futuro eccessiva volatilità di prezzo, sempre a beneficio del consumatore. È un’iniziativa che andrebbe presa subito dal governo, che ha una nostra proposta già sottoposta a consultazione e tra le più avanzate in Europa».
La crisi tra Russia e Ucraina ha riaperto il tema della dipendenza energetica italiana ed europea. Quali rischi corriamo?
«La crisi é arrivata in una stagione di consumi molto bassi e in estate i prezzi vanno giù. E con l’arrivo dell’autunno fortunatamente possiamo contare sugli stoccaggi gas più ampi d’Europa, un polmone che ci consente di affrontare anche crisi e tensioni ma non dobbiamo trascurare gli effetti futuri».
Che si può fare nel medio termine?
«La soluzione è quella di diversificare su tre fronti. Bisogna diversificare il rischio fornitori per avere sempre un’alternativa di fronte ad eventuali tensioni di un Paese da cui ci approvvigioniamo; bisogna diversificare le rotte dei gasdotti; bisogna diversificare i mercati contando su nuovi rigassificatori. La ricetta è quindi diversificare la contrattualistica di approvvigionamento. Ma la cosa più importante – non mi stanco di dirlo- è che la diversificazione contrattuale non va fatta a livello nazionale ma a livello europeo, sfruttando i mix e le posizioni geografiche dei diversi Paesi: per esempio l’Italia, vista la sua esposizione costiera, la posizione nel Mediterraneo e gli ottimi collegamenti con il Nord Europa, può divenire un molo straordinario per le forniture gas a livello pan-europeo».
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