Sull’ Ilva la Ue avverte l’Italia
La Commissione europea ha inviato all’Italia una nuova lettera di messa in mora sulla vicenda Ilva. La notizia era nell’aria da un paio di giorni. A differenza del primo intervento dello scorso settembre, in cui venivano mossi all’Italia rilievi in merito a possibili infrazioni alla Direttiva Ippc (Industrial Pollution Prevention and Control) e alla Direttiva sulla Responsabilità ambientale, che attua il principio «chi inquina paga», in questa seconda lettera la Commissione ha evidenziato nuove possibili infrazioni da parte dell’Italia. Che riguardano le prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale che l’ Ilva non ha rispettato, o di cui il governo non ha imposto il rispetto, secondo la nuova Direttiva sulle Emissioni industriali, e la mancata pubblicazione del Rapporto di Sicurezza «Seveso» aggiornato sull’acciaieria di Taranto. E’ bene comunque precisare che quella inviata dalla Commissione all’Italia, è una lettera di messa in mora «complementare» e non ancora il passaggio al secondo stadio della procedura, il «parere motivato», che prelude al ricorso in Corte di Giustizia in caso di risposta non soddisfacente. Una risposta che l’Italia è tenuta a dare entro due mesi, così come avvenne lo scorso settembre, con la risposta del governo che arrivò il 2 dicembre.
Al ricevimento della lettera da parte della Commissione, l’azienda ha risposto dichiarando che i rilievi mossi si basano sulle ispezioni che i tecnici Ispra hanno effettuato nel corso del 2013 e non alla situazione attuale. In una nota ufficiale, l’ Ilva dichiara che al momento l’attività produttiva non comporta «alcuna ripercussione seria ed immediata sull’ambiente, ma nemmeno nelle acque e nel suolo non si sta correndo alcun pericolo immediato per la salute umana perché gli scarichi, che comunque saranno migliorati, sono ad oggi a norma e non vi sono in corso rilasci pericolosi sui suoli». Il sub commissario dell’ Ilva, Edo Ronchi, ha invece evidenziato come l’intervento della Commissione sia a suo dire addebitabile unicamente alla mancata approvazione del piano ambientale, all’interno del quale sono previsti tutti gli interventi da effettuare sugli impianti dell’area a caldo del siderurgico. Il piano ambientale, secondo la legge approvata lo scorso 4 agosto, rimodulava e posticipava infatti la tempistica prevista per la scadenza degli interventi. In realtà il piano è stato approvato ai primi di marzo dal Consiglio dei ministri ed è tutt’ora al vaglio della Corte dei Conti. Il problema dei problemi però, non è stato ancora risolto. L’azienda infatti, non possiede le risorse per attuare gli investimenti previsti dal piano ambientale ed è in cerca di eventuali finanziatori (da individuarsi anche nello Stato, attraverso un intervento della Cassa Depositi e Prestiti).
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