La strage dei contadini

by redazione | 23 Aprile 2014 8:22

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Per oltre ses­santa dei suoi ottan­totto anni, Kri­sh­nam­mal Jagan­na­than, per tutti Amma (mamma) è stata giorno e notte impe­gnata ad affer­mare nella sua India i diritti dei sen­za­terra fuo­ri­ca­sta (un bino­mio quasi fisso) e quelli di madre natura. Rac­conta spesso il secondo evento deci­sivo della sua vita – il primo fu l’incontro con il mahatma Gan­dhi. Erano gli anni ’70 e mal­grado l’indipendenza i lati­fon­di­sti con­ti­nua­vano a sfrut­tare i brac­cianti e a com­met­tere atro­cità. In un vil­lag­gio del Tamil Nadu, dopo un lungo scio­pero di pro­te­sta decine di lavo­ra­tori, donne, bam­bini, uomini, vec­chi, furono chiusi in un capan­none e arsi vivi come puni­zione. Alla noti­zia, Kri­sh­nam­mal arrivò sui luo­ghi dal Bihar – dove stava par­te­ci­pando alla cam­pa­gna gan­d­hiana per il “dono della terra” o bhoo­dan— e non se ne andò più. In Tamil Nadu fondò il Movi­mento Lafti per la libe­ra­zione dei brac­cianti e per una vera riforma agra­ria, insieme al marito Jagan­na­than (Appa, papà), morto l’anno scorso a 100 anni.

Una lon­ge­vità quasi mira­co­losa, quella di Amma e Appa. Per­ché non sono pochi gli atti­vi­sti ambien­ta­li­sti e per i diritti sulla terra a morire pre­ma­tu­ra­mente, in modo vio­lento, in tutti con­ti­nenti. Il 17 aprile, ogni anno il Movi­mento Sem terra (Mst) del Bra­sile e i gruppi di appog­gio ricor­dano l’anniversario della strage di rurali sen­za­terra in lotta nell’Eldorado dos Cara­jas nello stato bra­si­liano del Parà, nel 1996. E sono pas­sati 25 anni dall’assassinio, sem­pre in Bra­sile, del lea­der deiserin­guei­ros Chico Men­des il quale disse, poco prima di morire: «Avevo cre­duto di bat­termi per gli alberi del cauc­ciù che ci davano lavoro. Poi mi sono accorto che stavo lot­tando per la fore­sta amaz­zo­nica. Adesso rea­lizzo che mi sto impe­gnando per l’umanità».

Sal­tando in un altro con­ti­nente e in un’altra fore­sta minac­ciata, pochi giorni fa è stato vit­tima di un atten­tato ed è grave il capo guar­diano del Parco nazio­nale del Virunga nella Repub­blica demo­cra­tica del Congo (Rdc), il belga Emma­nuel de Merode. Del resto con­ti­nua lo stil­li­ci­dio di guar­da­parco uccisi – 150 in venti anni — dai brac­co­nieri e da chi ha inte­ressi nelle atti­vità estrat­tive, in que­sto parco nella regione dei Grandi laghi che ospita gli ultimi gorilla di mon­ta­gna e che è patri­mo­nio dell’umanità.

La Gior­nata per la Terra è un’occasione per ren­dere omag­gio ai caduti per la Terra e per la terra, pun­tando il dito sui man­danti impu­niti e sui loro con­ni­venti. Lo ha fatto l’organizzazione ambien­ta­li­sta e per i diritti umani Glo­bal Wit­ness, pub­bli­cando alcuni giorni fa il rap­porto Deadly Envi­ron­ment. The dra­ma­tic rise in kil­ling of envi­ron­men­tal and land defen­ders (Ambiente mor­tale. Il dram­ma­tico aumento degli assas­si­nii di difen­sori dell’ambiente e della terra) che si rife­ri­sce al periodo fra il gen­naio 2002 e il dicem­bre 2013. I paesi in esame sono 74, tutti in Asia, Africa, Cen­tra­me­rica e Ame­rica del Sud. Là sono loca­liz­zate le vit­time. I paesi man­danti d’Occidente non sono nell’elenco.

Secondo la tra­gica map­pa­tura, che incro­cia diverse fonti, in dodici anni sono state uccise 908 per­sone in 35 paesi. Quali sono i posti più peri­co­losi? Secondo la conta dei morti di Glo­bal Wit­ness, basata in par­ti­co­lare su Huri­Search – The Human Rights Search Engine (http://?www?.huri?search?.org), in testa è il Bra­sile (con 448 morti), seguito da Hon­du­ras (109), Filip­pine (67), e poi Peru’, Colom­bia, Mes­sico. Il 2012 è stato l’anno più san­gui­noso.
Peral­tro, secondo il rap­porto, se le vit­time cen­site si con­cen­trano in alcuni paesi dell’America cen­trale e del Sud e in alcuni Stati dell’Asia, è pro­ba­bil­mente per­ché in quei luo­ghi c’è un numero mag­giore di movi­menti e gruppi in lotta, ma anche di orga­niz­za­zioni in grado di documentare.

Il rap­porto indi­vi­dua la causa delle vio­lenze nella «com­pe­ti­zione per le risorse che si è inten­si­fi­cata nell’economia glo­bale costruita intorno alla cre­scita e al con­sumo sem­pre mag­giore». Spiega che «molti dei minac­ciati o col­piti sono sen­za­terra, gruppi indi­geni, movi­menti con­ta­dini, eco­lo­gi­sti che si oppon­gono all’accaparramento dei suoli, alle atti­vità estrat­tive, alle mono­col­ture, alla defo­re­sta­zione pro­vo­cata dal pre­lievo di legname o dall’espansione di alle­va­menti e mono­col­ture». Nel mirino in par­ti­co­lare sono le comu­nità indi­gene, i cui diritti sulle terre non sono rico­no­sciuti dai potenti inte­ressi che li tac­ciano di essere «con­tro lo sviluppo».

Regna sovrana la regola dell’impunità: fra il 2002 e il 2013 sono stati con­dan­nati solo dieci respon­sa­bili, per l’1% dei casi dun­que… C’è una cul­tura ende­mica dell’impunità. Fa ecce­zione ad esem­pio il caso del rac­co­gli­tore di noci nella fore­sta e atti­vi­sta José Cláu­dio Ribeiro da Silva – Zé Cláu­dio — e di sua moglie Maria do Espí­rito Santo uccisi nello stato del Pará il 24 mag­gio 2011. Sono stati però con­dan­nati gli ese­cu­tori mate­riali, ma non l’allevatore pro­ba­bile mandante.

Ma i respon­sa­bili mul­ti­na­zio­nali non pagano mai. Per­fino quando rico­no­scono – raris­si­ma­mente – i torti. Ad esem­pio l’International Finance Cor­po­ra­tion, branca della Banca mon­diale per i pre­stiti a pri­vati, di recente ha ammesso di non</CW><CW-14> aver saputo pro­teg­gere i diritti sociali e ambien­tali accor­dando 30 milioni di dol­lari alla com­pa­gnia di agri­bu­si­ness Dinant, accu­sata di omi­cidi ed evi­zioni for­zate in Cen­tra­me­rica e in par­ti­co­lare in Honduras.

Per una pano­ra­mica delle lotte con­tro le ingiu­sti­zie ambien­tali è utile con­sul­tare l’Atlante glo­bale della rete Ejolt (www?.Ejolt?.org), della quale fa parte il Cen­tro di docu­men­ta­zione dei con­flitti ambien­tali (Cdca).

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