Lavoro, sì alla fiducia Poletti guarda avanti: soluzione in Senato
ROMA — Il decreto sul lavoro ottiene la fiducia del Parlamento e oggi sarà votato dall’Aula, ma si prepara a essere modificato al Senato. Alla fine, i mal di pancia di Nuovo centrodestra e Scelta civica sulle norme contenute nel decreto sono rientrate, grazie alla terapia d’urto del voto di fiducia, chiesto e ottenuto dal governo. Ma mentre votavano sì in Aula, i più importanti dirigenti del Nuovo centrodestra annunciavano che ci saranno cambiamenti all’arrivo del decreto a Palazzo Madama. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti non pare turbato: «Non credo che ci saranno particolarissimi problemi. Le distanze sono alla portata».
La fiducia alla Camera ha ottenuto 344 sì e 184 no (il salva Roma aveva ottenuto 325 sì e 176 no). Svaniti i timori di defezioni e dichiarazioni di sollievo da parte del Pd: «È stata smentita la propaganda sulla crisi della maggioranza», dice la vicepresidente della Camera Marina Sereni. Il partito di Angelino Alfano era presente in massa: su 28 deputati, un solo assente. Molto affollati anche i banchi del partito democratico, che conta 19 non partecipanti al voto su 293 membri del gruppo. Le assenze principali sono invece nelle opposizioni: il 35 per cento dei deputati di Forza Italia, così come il 15 del Movimento 5 Stelle. In mattinata ci aveva pensato proprio Alfano a rasserenare gli animi: «Il governo non corre alcun rischio». Dichiarazione seguita da elogi per Matteo Renzi, «che sta rinnovando la sinistra, anche nei contenuti, come si è visto sul decreto Lavoro in Commissione».
Renato Schifani annuncia che servirà «una mediazione» in Senato. Maurizio Sacconi, che nel vertice pre-fiducia si era scontrato contro il democratico Cesare Damiano, spiega che la commissione Lavoro del Senato «svolgerà una seconda lettura approfondita». Guardando anche i «dettagli», il cui esame «non è secondario, perché possono fare la differenza tra un apprendista e un disoccupato». Riferimento per nulla velato alle parole di Renzi, che la sera prima, dal Tg1, aveva invitato tutti ad accelerare, non soffermandosi sui «dettagli».
Queste alcune delle modifiche chieste da Ncd e Sc: l’eliminazione dell’obbligo dell’apprendistato pubblico; la cancellazione del vincolo di assunzione, nel caso di superamento del tetto dei contratti a tempo determinato (20 per cento); il ritorno a un numero massimo di 8 proroghe per i contratti a tempo determinato (in Commissione sono stati portati a 5).
Ieri è stato nominato relatore del decreto al Senato Pietro Ichino, di Scelta civica. Nomina salutata dal comprensibile entusiasmo di Andrea Romano: «Vedremo all’opera un riformismo pragmatico e non ideologico». A Ichino spetterà il compito di mediare tra la pressione del Nuovo centrodestra per tornare alla versione originale del decreto (prima delle modifiche in commissione Lavoro della Camera) e la volontà di mantenere il punto del Partito democratico.
Dalle opposizioni Renato Brunetta ricostruisce quella che a suo parere è la vera origine dello scontro: «La ragione del contendere è la difesa della struttura burocratica e centralista della Cgil». Parole respinte da Damiano: «Mi risulta che la Cgil sia molto critica sul decreto e quindi le accuse di una presunta interferenza del sindacato sugli emendamenti del Pd sono solo disinformazione e bassa propaganda». Chi si oppone radicalmente al decreto è il Movimento 5 Stelle, che ieri ha messo in atto una protesta: i deputati si sono incollati un codice a barre sulla fronte. «Con questo decreto — ha detto Marco Baldassarre — vi prendete gioco di questa e delle future generazioni».
Alessandro Trocino
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