Scontro aperto sulle riforme
ROMA — Matteo Renzi e Forza Italia si sfidano. Si strattonano — ma per ora non rompono — su tempi e contenuti delle riforme che Silvio Berlusconi dice comunque di voler rispettare. Però stavolta i due leader alzando i toni aggiungono un’altra ipoteca sul futuro del patto del Nazareno, siglato il 18 gennaio e che prevede il via libera in Parlamento al cosiddetto trittico: legge elettorale (l’Italicum già approvato dalla Camera), la riforma costituzionale del Senato e quella del Titolo V (Federalismo). Il risultato di tanto malumore ha già avuto conseguenze sui lavori di Palazzo Madama dove è ferma in commissione, da tre settimane, la legge elettorale e dove — a otto giorni dal via libera del Consiglio dei ministri — ancora non è giunto dal Quirinale il ddl costituzionale del governo.
In questo clima è arrivato un vero ultimatum del capogruppo azzurro, Renato Brunetta: «Noi chiediamo a Renzi, se vuole mantenere la parola, di approvare la riforma elettorale prima di Pasqua, altrimenti casca l’accordo con Berlusconi, con Forza Italia». Richiesta perentoria quella di Brunetta che si è visto rispondere, con garbo, dal ministro Maria Elena Boschi (Riforme): «Questa è un’idea di Brunetta… la commissione del Senato deve ancora esaminare il testo e a Pasqua mancano 10 giorni». Da Palazzo Chigi pensavano di chiudere lì la polemica di giornata con il capogruppo azzurro, ma poi ci si è messo il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri (FI), a prendere per i fondelli il premier: «In realtà a uno bravo come Renzi basterebbero poche ore, mica dieci giorni, per far approvare la legge elettorale…». Troppo anche per un Renzi in maniche di camicia che a metà pomeriggio varca il portone di Palazzo Chigi e si avvia a piedi in libreria: «Non accettiamo ultimatum da nessuno, men che mai da Brunetta. Le questioni interne a Forza Italia se le risolvano tra di loro… Se decidono di stare al gioco delle riforme noi ci siamo. Se vogliono sfilarsi ce lo dicano, noi ce la facciamo lo stesso». E un nuovo incontro con l’ex Cavaliere? «A me non risultano incontri con Berlusconi», taglia corto il premier.
Passano le ore e Brunetta non molla: «Se non passa la legge elettorale entro Pasqua il patto è “game over”…». Replica la contraerea renziana: «Brunetta parli con il suo leader prima di dirle grosse», attacca Francesco Carbone. Poi il sottosegretario Graziano Delrio mette il sigillo del governo: «Nessun piano B, noi andiamo avanti con il piano A: c’è l’accordo con FI, le riforme si fanno insieme, ma abbiamo anche la determinazione ad andare avanti con la nostra maggioranza». Per questo si fa sentire l’alleato Angelino Alfano, leader del Ncd: «L’ultimatum di Forza Italia, un film già visto… L’appoggio di Forza Italia è auspicabile ma non necessario».
Ecco, appunto, il ministro dell’Interno oggi sarà al Senato in I commissione ma solo per riferire sulle linee programmatiche del Viminale. La riforma del Senato e del Titolo V, varata il 31 marzo dal governo, «è sparita dai radar — per usare le parole di Brunetta — forse perché era scritta con i piedi?». Ieri sera quel testo che da 8 giorni staziona al Quirinale ancora non era stato trasmesso al Senato. L’intoppo pare sia legato ad alcune «falle» contenute nel testo e agli effetti di sistema che esso genererebbe se accoppiato con l’«Italicum»: 1) In caso di morte o di incapacità sopravvenuta del capo dello Stato, chi convoca la seduta comune del Parlamento per eleggere il nuovo presidente? Oggi lo fa il presidente della Camera mentre quello del Senato riempie il vuoto lasciato al Quirinale. Con la riforma «Boscum», dal cognome del ministro, il presidente della Camera fa tutto: sostituisce il capo dello Stato e convoca la seduta comune. 2) Se oggi fosse in vigore il «Boscum» anche il ddl costituzionale che riforma il Senato verrebbe votato a data certa (dopo 60 giorni) «articolo per articolo senza modifiche». 3) La Francia ha stabilito l’incompatibilità tra i ruoli di sindaco e quello di senatore (nel «Boscum» ce ne sarebbero 60) perché sono espressione di un potere esecutivo. 4) Poi c’è il combinato disposto «Boscum»+«Italicum»: il quorum dei due terzi previsto oggi per evitare il referendum confermativo sui ddl costituzionali non costituirebbe più una soglia di garanzia. Perché il premier che vincerà si prenderà quasi tutta la Camera e magari il suo partito esprimerà pure la maggioranza schiacciante dei sindaci e dei consiglieri regionali trapiantati al Senato.
Dino Martirano
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