«Su Rostagno indagini depistate» Dopo oltre 25 anni chiesti due ergastoli
TRAPANI — Un delitto di mafia, dove la mafia fu occultata da inquirenti che vollero guardare altrove. E un delitto politico, perché politica era — di fatto — l’attività delle vittima, attraverso «la sua quotidiana attività di denunzia del potere pervasivo di Cosa nostra, delle sue infiltrazioni nel tessuto economico e sociale di Trapani, dei legami con la massoneria e con il comitato politico di affari che governava questa città». Questo fu l’omicidio di Mauro Rostagno, ex militante del movimento di estrema sinistra Lotta Continua, contestatore atipico, sociologo, giornalista e operatore terapeutico, assassinato nella campagna trapanese la sera del 26 settembre 1988. Ma solo oggi, ad oltre un quarto di secolo di distanza, la Procura Antimafia di Palermo ha potuto chiedere a una Corte d’assise la condanna all’ergastolo di due presunti colpevoli, killer e mandante: Vito Mazzara e Vincenzo Virga, rispettivamente capi della famiglia mafiosa di Valderice e del mandamento Trapani.
I pubblici ministeri Gaetano Paci e Francesco Del Bene hanno concluso ieri la loro requisitoria, al termine di un processo composto di 144 testimonianze e quattro perizie tecniche. Puntando il dito non solo sugli imputati, ma anche contro chi ha condotto le inchieste del passato; un «processo alle indagini» segnate da «insufficienze, sottovalutazioni, inspiegabili omissioni e miopie» trasformatesi in «oggettivi depistaggi», ha detto il pm Paci. Il quale ha voluto ricordare quel che di Rostagno disse il fondatore delle Brigate rosse, e amico della vittima, Renato Curcio: «Mauro è stato una figura del ‘68 europeo e della nascente società italiana, ha attraversato campi tanto diversi tra loro fino a diventare l’espressione di tanti mondi insieme» .
La sorprendente citazione di un ex terrorista da parte di un magistrato serviva a «restituire lo splendore della figura umana e intellettuale» della vittima, approdata dalla contestazione alla provincia siciliana passando per l’India, gli «arancioni» e la comunità terapeutica Saman, fino alle trasmissioni sulla tv privata Rtc che — nella ricostruzione dell’accusa — gli sono costate la vita. Una voce scomoda tolta di mezzo come dieci anni prima era successo a Peppino Impastato, ucciso su ordine del boss Tano Badalamenti. Per Rostagno, sgombrato il campo dalla «pista interna» che a suo tempo coinvolse addirittura la moglie e il principale socio, o altre ipotesi rivelatesi infondate come il legame con l’inchiesta sull’omicidio del commissario Calabresi, i pm chiamano in causa le cosche trapanesi. Ma non solo. Tanto che resta aperta (ma chissà se sfocerà mai in risultati concreti) un’indagine su altri mandanti ed esecutori ancora sconosciuti.
«Rostagno è stato barbaramente assassinato perché responsabile di un’assillante opera di denuncia delle attività criminali di Cosa nostra — ha detto il pm Del Bene —, rivelandone il pieno coinvolgimento nel traffico di armi, sostanze stupefacenti e rifiuti tossici, oltre alle infiltrazioni e collusioni nella politica e nella Pubblica amministrazione». Solo che all’epoca del delitto c’erano un procuratore secondo il quale «era difficile sostenere l’esistenza della mafia a Trapani», e carabinieri che privilegiarono piste «più comode e indolori». Invece il giornalista s’era «avvicinato troppo a un “terzo livello” in cui gli intoccabili, anche di apparati dello Stato, agivano all’ombra della cupola di Cosa nostra». Le sue denunce, che non risparmiavano gli intrecci tra mafia e massoneria locale, avevano innescato «una vera e propria rivoluzione culturale nel tentativo di risvegliare la società civile e rivelare la vera essenza della borghesia mafiosa, divenuta strumentale a un potere col quale faceva affari d’oro». Di qui la definizione di «omicidio politico-mafioso, per la convergenza di interessi all’eliminazione di Rostagno anche esterni a Cosa nostra». Movente a parte, per l’accusa ci sono tracce balistiche e di Dna che collegano direttamente reperti e dinamica del delitto ai due imputati. Per contraddire queste tesi le difese hanno schierato l’ex capo del Ris dei carabinieri Luciano Garofano, divenuto consulente privato; delle sue controperizie gli avvocati parleranno alle prossime udienze. Difficile prevedere come finirà. La sentenza dovrebbe arrivare il 9 maggio, anniversario degli omicidi di Aldo Moro e di Peppino Impastato .
Giovanni Bianconi
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