Rinvio del pareggio con Sel ed ex M5S
ROMA — Ultime curve per il via libera al Def (Documento di economia e finanza) in vista del Consiglio dei ministri di oggi. La giornata di vigilia è servita ad assolvere agli ultimi passaggi formali e tecnici del provvedimento che consentirà al premier Matteo Renzi di varare il decreto per lo sgravio Irpef, destinato ai lavoratori dipendenti. Per approvare il bonus serviva il voto in Aula alla Camera e al Senato sul Def. L’esito era abbastanza scontato a Montecitorio (348 voti favorevoli, 143 i contrari ), un po’ meno a Palazzo Madama. Per cui non sorprende il risultato al termine delle votazioni dei senatori. Pur approvato, il documento è stato votato da una maggioranza risicata. Al vaglio del Parlamento, oltre al via libera del Def, c’era da approvare la richiesta del governo per rinviare il pareggio di bilancio al 2016. A poco è servita l’audizione del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che in Senato si è limitato a ricordare «nonostante i segnali di ripresa dell’anno in corso, anche nel 2014 il gap rimarrà molto negativo, la ripresa economica ancora fragile e la situazione del mercato del lavoro difficile». Il ministro ha ripetuto che «per favorire il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione il governo ha intenzione di avvalersi della procedura eccezionale», chiedendo il rinvio del pareggio. L’Aula del Senato ha approvato con 170 voti (era richiesta la maggioranza assoluta) a favore dello spostamento del pareggio. Il punto è che solo 162 voti sono stati espressi dalla maggioranza che sostiene il governo, gli altri 8 sono arrivati dalle forze di opposizione. Ad allinearsi alla truppa governativa sono stati il leghista Roberto Calderoli (primo firmatario della risoluzione con la quale Palazzo Madama ha recepito la richiesta dell’esecutivo), 5 esponenti di Sel e, infine, 2 degli ex M5S. Sul Def i risultati di voto hanno registrato 156 voti a favore e 92 no. La votazione è finita sotto la quota 161, quella che assicura la certezza di sopravvivenza all’esecutivo. I numeri della maggioranza, insomma, seppur sufficienti hanno ricordato ancora una volta la precarietà del governo a Palazzo Madama. Tanto che Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, si è subito spinto a sottolineare che il provvedimento è passato «con l’aiuto di una decina di voti da parte di sedicenti opposizioni».
Un ulteriore scollamento tra le forze di maggioranza è emerso in Commissione lavoro a Montecitorio, dove i deputati di Ncd non hanno partecipato al voto sul decreto legge predisposto dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Tutta colpa di un emendamento, presentato dal Pd, che ha ridotto da 8 a 5 le possibili proroghe riservate ai contratti a tempo determinato nell’arco di tre anni. Secondo Maurizio Sacconi e Sergio Pizzolante, entrambi di Ncd, il Pd avrebbe smontato e stravolto il decreto Poletti contestando l’introduzione di «irrigidimenti» e «meccanismi punitivi su apprendistato e formazione. Sacconi si è spinto a dire, «non siamo alla crisi di governo, ma c’è un trauma che non possiamo non segnalare». In serata è intervenuto Poletti per ricucire lo strappo. «Credo che l’esame svolto dalla Commissione lavoro, pur apportando alcune modifiche al testo, si sia concluso senza stravolgerlo e rispettandone i contenuti fondamentali», ha spiegato .
Andrea Ducci
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