by redazione | 23 Aprile 2014 9:27
L’idea non poteva non venire a un imprenditore con un passato da atleta. Sempre più gente corre, sempre più scarpe si acquistano e si consumano, sempre più ne risente l’inquinamento del pianeta. «Ci vogliono 150 anni perché una calzatura diventi torba» calcola Nicolas Meletiou, origine greche e un’azienda che smaltisce rifiuti da ufficio. Perché non farlo anche con le scarpe da ginnastica? Ecco così che nasce «Esosport», una sfida prima ancora che un progetto di business. «Raccogliamo le scarpe gratuitamente, separiamo la canapa dalla gomma, le trituriamo e creiamo il nuovo materiale con cui realizzare pavimenti per i parchi giochi». Quattro anni fa il primo paio raccolto, ieri il contatore era arrivato a 85.223. I bambini possono già saltare sulle «scarpe riciclate» al Boschetto di Opera, nel Milanese, o nel giardino di viale Guidoni a Firenze, inaugurato a febbraio, uno degli ultimi atti di Matteo Renzi sindaco.
Un problema può diventare una risorsa (e offrire opportunità di lavoro). È questa la chiave della «green economy», come dire che si può sfruttare la crisi per costruire un mondo migliore. A partire dalla nostre «città» per renderle più verdi, tema dominante della Giornata della Terra che si è celebrata ieri in tutto il mondo, come si fa da 44 anni.
L’Organizzazione internazionale del lavoro ha stimato che i nuovi mestieri legati alla transizione dall’era del petrolio all’economia dell’ambiente potrà generare dai 15 ai 60 milioni di nuovi posti di lavoro in vent’anni. Forbice, in verità, piuttosto ampia, ma cifre comunque con il segno positivo, la tendenza è indiscutibile. Più precisi i dati di «Greenitaly 2013», l’ultimo rapporto di Unioncamere e Fondazione Symbola: tre milioni i lavoratori verdi in Italia (il 13,3% dell’occupazione totale); 328 mila aziende (il 22%) nell’industria e nei servizi che dal 2008 a oggi «hanno investito, o lo faranno quest’anno, in tecnologie green ». Non solo: le aziende «ecologiche» hanno la tendenza ad assumere di più, a scegliere giovani sotto i trent’anni, a puntare sulla ricerca, a cercare sbocchi all’estero. Cifre che sorprendono, una fotografia di una realtà in crescita se si considera che alla «green economy» si devono 100,8 miliardi di valore aggiunto, il 10,6 per cento dell’economia nazionale.
Le occupazioni legate allo sviluppo sostenibile offrono sempre maggiori opportunità, un fenomeno trasversale che tocca tutti i settori produttivi. Le nuove città verdi, per esempio, impongono progettisti in grado di utilizzare materiali nuovi e ridurre gli spechi: nascono figure come il «manager della programmazione energetica», si moltiplicano i master in bio-architettura e bio-edilizia. Il Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri stima che entro il 2020 più del 20% dei neo ingegneri potrebbe lavorare nell’edilizia verde.
Città significa mobilità. Pochi sanno che dal 1998 la legge Ronchi ha previsto che gli enti pubblici con più di 300 dipendenti e le imprese che ne hanno oltre 800, si dotino di un «mobility manager»: un signore che ti deve suggerire qual è il mezzo più economico ed efficente per arrivare al lavoro, così da evitare le code e non esagerare con i gas serra.
Un lavoro green può essere rivoluzionario anche perché, semplicemente, riscopre l’antico: Saverio Denti, nelle campagne di Reggio Emilia, è andato a recuperare le vecchie ricette dell’assenzio, per produrre non la «bevanda maledetta» dell’Ottocento ma un buon distillato. Mario Cicero, nel Palermitano, continua la tradizione dei raccoglitori di manna, con tecniche nuove e il rispetto per la natura dei nonni.
Le nuove sensibilità crescono anche a tavola. I vegetariani sono in aumento, e anche coloro che fanno una scelta più estrema, rifiutando tutti i prodotti di origine animale, come latte e uova. Roberta Bartocci, nutrizionista e vegana, tre anni fa si è inventata il mestiere di «veg coach», e ha pure registrato il marchio. «Cosa faccio? Do consigli, porto le persone in cucina o a fare la spesa». Gli affari vanno bene. «Ormai non riesco a stare dietro alle richieste» ammette.
Innovazione e opportunità, anche questa è la «green economy». Annalisa Balloi, da biologa e ricercatrice alla Statale di Milano, grazie ai batteri ha messo su una start up ed è diventata imprenditrice: i suoi microorganismi sono in grado non solo di proteggere le api e produrre più miele, ma anche di pulire, con un metodo originale, le opere d’arte in modo «bio». La tradizione salvata dai mestieri del futuro.
Riccardo Bruno
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