La Pasqua dietro i muri e il filo spinato
I riti della Pasqua a Gerusalemme sono sempre suggestivi, anche per i non credenti. Specialmente quest’anno. Cattolici, protestanti e ortodossi festeggiano la Pasqua negli stessi giorni. Senza dimenticare che questa è anche la settimana della Pessah ebraica. Per il venerdì santo gruppi di cristiani, alcuni dei quali portavano in spalla pesanti croci, sono affluiti nei vicoli della Città Vecchia per partecipare alla via Crucis, lungo la via Dolorosa percorsa da Cristo. Un rito che genera un mix unico di volti, lingue, etnie in una città che tra poco più di un mese riceverà, assieme a Betlemme, papa Francesco. L’occupazione israeliana però non sparisce a Pasqua, c’è tutti i giorni dell’anno dal 1967. All’interno delle mura della Gerusalemme antica tra le migliaia di turisti e pellegrini ci sono pochi palestinesi cristiani della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Una presenza ridotta causata dal numero limitato di permessi per l’ingresso a Gerusalemme concessi dalle autorità israeliane.
Nelle ultime ore i comandi militari avrebbero aumentato il numero delle autorizzazioni — un funzionario israeliano sostiene che sono stati accordati 14 mila permessi — che tuttavia rimane ben sotto le aspettative e i desideri dei palestinesi cristiani. Il vescovo ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina, monsignor William Shomali, afferma che in realtà sono stati concessi meno di diecimila permessi (i cristiani in Cisgiordania sono circa 50 mila). Israele si proclama garante della libertà religiosa ma l’accesso ai luoghi santi dei fedeli cristiani e musulmani dei Territori occupati è condizionato a restrizioni decise di volta in volta. E’ bene ricordare che Gerusalemme, per le risoluzioni internazionali, era e resta una città occupata e la sua annessione unilaterale a Israele non è mai stata riconosciuta, neppure dagli Stati Uniti. Ieri, peraltro, sono scoppiati scontri tra polizia e dimostranti palestinesi alla Porta di Damasco e nel quartiere di Ras al Amud per le forti limitazioni decise dalle autorità israeliane all’ingresso sulla Spianata delle moschee dei fedeli musulmani.
Per un cristiano residente nei Territori occupati, come per tutti gli altri palestinesi, è più facile andare a Roma che entrare a Gerusalemme. Potrebbe apparire una battuta ma di fatto è così. A spiegarlo è il noto padre francescano Ibrahim Faltas che ci ha ricevuto a San Salvatore, nella città vecchia. «Ci auguriamo sempre una Pasqua di preghiera, di pace, di tranquillità per palestinesi e israeliani. Purtroppo – afferma Faltas — dobbiamo dire che quest’anno i permessi (per i cristiani palestinesi intenzionati a venire a Gerusalemme, ndr) sono stati limitati. Tantissime persone non hanno avuto l’autorizzazione (da parte di Israele, ndr). Altri permessi forse saranno rilasciati nei prossimi giorni, vedremo». I problemi, aggiunge il padre francescano, «sono aggravati dalla presenza dei posti di blocco militari israeliani. Nei giorni della nostra festa i cristiani palestinesi non riescono facilmente a raggiungere Gerusalemme. Vediamo in città persone di tutto il mondo ma non quelle della Cisgiordania, della Palestina. Crediamo che sia un diritto di tutti i cristiani venire a Gerusalemme per celebrare la santa Pasqua».
Non sorprende perciò che i capi delle Chiese di Gerusalemme, rivolgendo quest’anno gli auguri ai fedeli abbiano lanciato anche un appello alla giustizia oltre che alla pace. E non è un mistero che i cristiani dei Territori occupati si attendano da papa Francesco, in occasione della sua visita, una presa di posizione netta a sostegno dei diritti dei palestinesi sotto occupazione. «Papa Francesco, la Palestina vuole giustizia!», recitavano alcuni striscioni issati dai fedeli durante la processione della domenica delle palme partita da Betfage, sul Monte degli Ulivi, da cui secondo la tradizione Cristo si avviò verso Gerusalemme. «Attendiamo con speranza la venuta di Francesco – ci dice Shirin, di Betlemme – il Papa visiterà i cristiani di Palestina e siamo certi che capirà il dramma di noi fedeli costretti a vivere dietro ai muri e al filo spinato».
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