La partita dietro il voto in Algeria. Gru, trivelle e i 31 siti del petrolio

by redazione | 16 Aprile 2014 10:19

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ALGERI – Meglio guardare alle gru e alle trivelle, anziché ai manifesti e ai comizi, per cercare di cogliere l’importanza delle elezioni presidenziali in Algeria. Il capo dello Stato Abdelaziz Bouteflika, anziano (77 anni) e malato (ictus nel 2013) domani, 17 aprile, otterrà dalle urne il suo quarto mandato. Ma davanti a sé e al suo regime si potrebbe aprire una situazione di pericoloso stallo politico. Il popolo algerino, dopo decenni di sonno profondo, comincia a dare qualche segnale di risveglio. Confuso, contraddittorio, talvolta violento, ma comunque ancora senza un leader riconoscibile. Forse non è più sufficiente il narcotico delle sovvenzioni e dei calmieri: 50 miliardi di dollari, un quarto del prodotto interno lordo, distribuito a cittadini con stipendi medi di 200-300 dollari al mese, ma che possono fare il pieno di benzina con 8 dollari e comprare per un niente pane, latte, zucchero, olio. L’establishment, invece, è seduto su un tesoro da 190 miliardi di dollari: sono le riserve valutarie accumulate esportando idrocarburi in Spagna, Italia, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, al ritmo di 65-70 miliardi di ricavi all’anno. Il regime si regge su tre forze: il clan del presidente, l’esercito e i servizi segreti. Bouteflika, l’erede dell’epopea indipendentista (il suo partito si chiama ancora Front de Libération nationale) e il campione dell’anti terrorismo islamico, non è più la guida indiscussa. Vincerà anche stavolta con percentuali plebiscitarie, gonfiate come sempre dall’efficiente macchina del consenso, o come dicono gli oppositori, della frode sistematica. In Algeria, 36 milioni di abitanti, non esiste un registro elettorale unico. L’apparato del ministero è in grado di far votare qualcuno anche tre o quattro volte, per esempio le 830 mila divise, tra soldati, poliziotti e altre forze di sicurezza. Domani sera le fonti ufficiali indicheranno un’affluenza intorno al 50-60%, ma si stima che solo il 20-25% degli elettori (conteggiati sommariamente mettendo insieme gli schedari locali) si scomoderà per compiere una finta scelta: gli avversari del presidente sono outsider senza seguito, con la sola eccezione dell’ex primo ministro di Bouteflika, Ali Benflis, 69 anni, che pur di farsi notare è arrivato addirittura a evocare il ricorso alla violenza in caso di sconfitta. Basta aspettare fino a venerdì.
Bisognerà, invece e più seriamente, tenere in conto l’azione di disturbo del «fronte del boicottaggio» («no alle urne») che tiene insieme quel che resta dell’Islam politico, triturato dalla repressione degli anni Novanta, e quel che viene avanti di un movimento laico e modernizzatore per ora più presente su Facebook e Twitter che nelle piazze, come il gruppo Barakat che significa Basta!
Posizioni coraggiose in un Paese quasi militarizzato, che lesina i visti di ingresso ai giornalisti e agli osservatori internazionali. E largheggia con le facilitazioni agli uomini d’affari. Tuttavia le vere preoccupazioni dei centri di comando sono concentrate altrove: nell’attuazione dell’ambizioso piano di investimenti pubblici, già partito con il consueto e nutrito corollario di corruzione e tangenti (coinvolta anche l’italiana Saipem). Strade, trasporti pubblici, case, ospedali. Se ne vedono le tracce strisciando dentro il traffico assurdo, lungo la strada che conduce all’aeroporto. A sinistra i cinesi stanno costruendo la moschea più grande del mondo arabo (e chi meglio di loro?), superando quella di Casablanca, in Marocco.
Qualche chilometro più avanti, nella sede, anzi nella cittadella occupata da Sonatrach, la compagnia petrolifera nazionale, i tecnici stanno definendo la mappa delle nuove esplorazioni petrolifere. Trentuno siti da setacciare nell’immenso deserto partendo dalla linea segnata da Hassi R’mel e Hassi Massoud e scendendo verso sud. Le multinazionali già presenti nell’area, da Eni a British Petroleum, dalla spagnola Repsol all’americana Conoco hanno iniziato quella che è forse la vera campagna elettorale in corso nel Paese. In gioco ci sono commesse per diversi miliardi di dollari, ma soprattutto posizioni geostrategiche su cui scommettere. L’Italia importa dall’Algeria il 33% del suo fabbisogno di gas. Il governo di Roma, dunque, e il nuovo vertice dell’Eni si troveranno davanti un dossier di importanza capitale e dovranno guardarsi soprattutto dall’attivismo degli spagnoli.
Il regime algerino, invece, vuole stabilità prima ancora che la continuità del mandato di Bouteflika. Gli alti gradi dell’esercito hanno fatto pressione per l’avvicendamento, ma il clan del presidente non ha ceduto e si è impegnato in una surreale campagna senza la presenza fisica del candidato. E’ probabile che il confronto nella cupola del potere riprenderà non appena saranno richiuse le urne. Con discrezione e tra un affare e l’altro con le società straniere.
Giuseppe Sarcina

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