La Palestina “aderisce” all’Onu

by redazione | 3 Aprile 2014 14:41

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Caos, urla, pro­te­ste. La destra israe­liana più radi­cale, den­tro e fuori il governo Neta­nyahu, batte il pugno sul tavolo. Vuole la fine imme­diata del nego­ziato. E che sia sca­ri­cata ogni respon­sa­bi­lità su Abu Mazen e l’Anp, “col­pe­voli”, pro­clama, di aver avviato l’iter di ade­sione dello Stato di Pale­stina a 15 Con­ven­zioni e di aver respinto il “com­pro­messo” che il Segre­ta­rio di stato John Kerry aveva pre­sen­tato per esten­dere i col­lo­qui fino al 2015. Abu Mazen, in sostanza, avrebbe vio­lato l’impegno preso a luglio di non rivol­gersi alle isti­tu­zioni inter­na­zio­nali. Come se non fosse una grave vio­la­zione la deci­sione israe­liana di non rispet­tare l’accordo che pre­ve­deva la libe­ra­zione, il 29 marzo, di una tren­tina di dete­nuti poli­tici pale­sti­nesi, gli ultimi dei 104 pat­tuiti a luglio.

«I nego­ziati sono bloc­cati. Abu Mazen ha spu­tato su tutti», ha tuo­nato il mini­stro dell’edilizia (quindi delle colo­nie) Uri Ariel, del par­tito ultra­na­zio­na­li­sta Foco­lare ebraico. «Abu Mazen – ha aggiunto il mini­stro — ha rea­gito con una provocazione…Abu Mazen pensa di poter spu­tare su tutti e poi trarne van­taggi». Ad Ariel non importa nulla delle trat­ta­tive, che ha sem­pre osta­co­lato con i suoi piani di colo­niz­za­zione. La sua rab­bia deriva piut­to­sto dal siluro che il lea­der dell’Anp ha lan­ciato con­tro l’idea di John Kerry che pre­vede la libe­ra­zione da parte degli Stati Uniti della spia ed icona israe­liana Jona­than Pol­lard, in cam­bio della scar­ce­ra­zione di 400 dete­nuti pale­sti­nesi accom­pa­gnata da un limi­tato con­ge­la­mento dell’espansione delle colo­nie, peral­tro solo in Cisgior­da­nia. La destra punta alla “ritor­sione imme­diata”: l’annessione a Israele con un atto for­male della Valle del Gior­dano e dei bloc­chi di colo­nie in Cisgiordania.

Sarebbe però un errore pen­sare che la trat­ta­tiva messa in piedi da Kerry la scorsa estate stia vivendo i suoi ultimi giorni. I media­tori ame­ri­cani sono ancora al lavoro per­chè sanno che il pre­si­dente pale­sti­nese non cerca una rot­tura vera. Piut­to­sto mostra i muscoli, prova a far capire che qual­che frec­cia al suo arco c’è ancora. La libe­ra­zione di Pol­lard, segnala Abu Mazen, è un’occasione così ghiotta per Israele che Neta­nyahu non può spe­rare di rea­liz­zarla con­ti­nuando a porre al tavolo dei col­lo­qui tutte le sue con­di­zioni, a comin­ciare dalla richie­sta del rico­no­sci­mento pale­sti­nese di Israele come “Stato del popolo ebraico” che Ramal­lah ritiene inac­cet­ta­bile per con­se­guenze che ciò com­por­te­rebbe per i diritti dei pro­fu­ghi e dei pale­sti­nesi con cit­ta­di­nanza israe­liana. Non sor­prende per­ciò che l’Organizzazione per la libe­ra­zione della Pale­stina (Olp) si sia affret­tata ieri a pre­ci­sare che «Il pro­cesso nego­ziale non è finito» e che l’organizzazione resta «legata all’impegno dei nove mesi che ter­mi­nano il 29 aprile». «Nono­stante l’escalation delle poli­ti­che oppres­sive israe­liane – dice l’Olp — come l’uccisione di civili, la costru­zione delle colo­nie, raid in comu­nità vul­ne­ra­bili, arre­sti arbi­trari e deten­zioni, demo­li­zioni di case e rimo­zione di diritti di resi­denza, noi restiamo impe­gnati nel pro­cesso nego­ziale e soste­niamo gli sforzi Usa». L’Olp aggiunge «Visto che Israele ha man­cato di libe­rare l’ultimo gruppo di pri­gio­nieri, lo Stato di Pale­stina non si sente più obbli­gato a post­porre i suoi diritti di acce­dere ai trat­tati e alle con­ven­zioni multilaterali».

Insomma, Abu Mazen si pone un po’ den­tro e un po’ fuori. D’altronde anche il tipo di con­ven­zioni inter­na­zio­nali alle quali i pale­sti­nesi sareb­bero inten­zio­nati ad ade­rire, segnala che Abu Mazen si lascia sem­pre aperta la pos­si­bi­lità di con­ge­lare tutto e di ripren­dere le trat­ta­tive, seb­bene non alle con­di­zioni di Israele.

L’iter di ade­sione riguarda:

Quat­tro Con­ven­zioni di Gine­vra del 12 ago­sto del 1949 e il Primo Pro­to­collo addizionale;
Con­ven­zione di Vienna sulle rela­zioni diplomatiche;
Con­ven­zione di Vienna sulle rela­zioni consolari;
Con­ven­zione sui diritti del bam­bino e Pro­to­collo opzio­nale sui diritti del bam­bino sui coin­vol­gi­mento dei bam­bini in con­flitti armati;
Con­ven­zione sull’eliminazione di tutte le forme di discri­mi­na­zione con­tro le donne;
Con­ven­zione dell’Aja (IV) sul rispetto delle leggi e dei diritti di guerra sulla Terra e suoi annessi;
Con­ven­zione dei diritti delle per­sone con disabilità;
Con­ven­zione di Vienna sulla legge dei trattati;
Con­ven­zione inter­na­zio­nale sull’eliminazione di ogni forma di discri­mi­na­zione razziale;
Con­ven­zione con­tro la tor­tura e altre cru­deltà, inu­ma­nità, trat­ta­mento degra­dante o punizione;
Con­ven­zione delle Nazioni Unite con­tro la corruzione;
Con­ven­zione sulla pre­ven­zione e la pena del cri­mine di genocidio;
Con­ven­zione inter­na­zio­nale sulla sop­pres­sione e la pena del cri­mine di apartheid;
Accordo inter­na­zio­nale sui diritti civili e politici;
Accordo inter­na­zio­nale sui diritti eco­no­mici, sociali e cul­tu­rali. Man­cano le richie­ste di ade­sione alle Corti inter­na­zio­nali, quelle che dav­vero spa­ven­tano Israele.

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