Più oneri sulle rendite Pagano anche i conti correnti
Che in Italia la tassazione sul cosiddetto patrimonio sia mediamente più bassa di quella imposta sul lavoro è un fatto. Sin dall’inizio della sua campagna per la segreteria, Matteo Renzi non aveva nascosto la preferenza per un intervento di riequilibrio: finché il lavoro paga più tasse della rendita – finanziaria o immobiliare, poco cambia – inutile sperare nella ripresa. È un’idea che negli ultimi mesi hanno sostenuto molti fra i consiglieri e amici del premier: dal capo del Fondo Algebris Davide Serra al responsabile economia del Pd Filippo Taddei. Lo scorso ottobre Letta tentò di salire fino al 22%, ma alla fine rinunciò. A Renzi non si può non riconoscere una buona dose di decisionismo, e però aumentare di colpo la tassazione su (quasi) tutti i prodotto finanziari dal 20 al 26 per cento, seppur a partire dal primo luglio, non è un intervento indolore. Non lo è in un Paese con un’asfittico mercato finanziario, nel quale da un anno a questa parte i titoli azionari sono sottoposti a una sorta di Tobin tax (vedi pagina 22) che ha ulteriormente depresso gli scambi di Borsa. Per gli investimenti finanziari la seconda stangata in pochi mesi: l’ultima legge di Stabilità aveva già introdotto un’imposta pari al due per mille del valore delle attività detenute presso qualunque intermediario.
Di tutte le ipotesi sul tavolo dei tecnici, quella dell’aumento della tassazione secca al 26% era la più drastica. A regime – ovvero nel 2015 – garantirà alle case dello Stato quasi tre miliardi di maggior gettito, per l’esattezza 2,8. Servirà in gran parte a ridurre del 10 per cento il peso dell’Irap sulle imprese.
È più veloce elencare cosa sarà esentato dall’aumento: i titoli di Stato, gli investimenti legati alla previdenza complementare, i fondi pensione. Tutti gli altri prodotti finanziari?dovranno pagare dazio: dividendi e utili delle società – a prescindere dal periodo di formazione dell’utile – azioni, obbligazioni, mini-bond: fatte salve alcune eccezioni, l’aumento sarà in buona sostanza retroattivo. Si dovrebbero salvare dalla stangata le polizze vita, ma solo se sottoscritte entro il 30 giugno. Aumenta al 26% la tassazione degli interessi maturati sui conti correnti bancari e postali: all’inizio il governo l’aveva escluso, al dunque l’aumento è arrivato anche per loro. Per conti correnti e libretti postali c’è un però: l’aumento colpirà gli interessi che matureranno dopo il primo luglio, non invece quelli già maturati per i buoni fruttiferi postali.
Che cosa significa tutto questo per il portafoglio medio di un italiano? Secondo alcune simulazioni pubblicate dal Sole 24 Ore su un valore investito di circa 50 mila euro e che garantisce 1.500 euro di rendimento, fra Tobin tax, bolli, imposte sostitutive e ritenute d’acconto l’importo dovrebbe salire dai 450 ai 540 euro medi, circa novanta euro in più di quanto non si pagava fino ad un anno fa. Poco? Troppo? Valga qui l’esempio della Gran Bretagna, che nel 2010 ha alzato l’aliquota sui guadagni di Borsa dal 18 al 28 per cento, ma è rimasta al 18 per cento per chi dichiara un reddito inferiore alle 35 mila sterline annue. In Germania l’aliquota media è del 25 per cento, in Francia è ancora più alta, e supera spesso il 35. In Spagna l’aumento risale al 2012, e prevede aliquote fra il 21 e il 27 per cento, anche se sui primi seimila euro di reddito resta l’aliquota del 19. In Italia, Paese di santi, navigatori ed evasori, un sistema siffatto viene scartato a priori. Il risultato è la stangata a danno dei soliti noti.
@alexbarbera
ALESSANDRO BARBERA
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