Messaggio delle banche a Renzi «Serve un forte ripensamento»
ROMA — Il colpo è di quelli che si fanno sentire. Nel decreto per il bonus fiscale varato dal governo le banche sono chiamate a partecipare per oltre due miliardi. Un conto salato, tanto più considerato che l’esecutivo ha stabilito che venga saldato in un’unica soluzione e non più in tre rate. Il giro di vite prevede che gli istituti di credito titolari di quote di Bankitalia vedranno applicarsi sulla rivalutazione un’aliquota del 26% (finora era del 12%). Quanto basta per alimentare gravi preoccupazioni nel sistema del credito. Una nota del presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ieri mattina ha fissato e condensato la posizione delle banche italiane. A impensierire è anche il contesto in cui si decide di chiedere un ulteriore sforzo agli istituti di credito.
«Il forte aumento della pressione fiscale deliberato dal Consiglio dei ministri» specifica Patuelli, «si assomma a quello deciso dal precedente governo: i due provvedimenti hanno determinato l’aumento dell’anticipazione Ires 2013 al 130% per banche e assicurazioni, l’enorme addizionale dell’8,5% sull’Ires 2013, la rivalutazione delle quote di Bankitalia (ultimi in Europa!) con l’imposta del 12% disposta dalla legge di Stabilità», quest’ultima con il varo del decreto, «è stata aumentata al 26% con effetti retroattivi giuridicamente più che discutibili». Il passaggio è esplicito e lascia intendere che le banche sono pronte a fare ricorso legale. Prematuro stabilirne la sede e le modalità, ma Corte costituzionale e Corte di giustizia europea potrebbero presto essere investite del caso.
L’Abi nei giorni scorsi, ricordando le parole del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, in audizione a Montecitorio ha ventilato come conseguenza del maxi prelievo l’eventualità di una riduzione dell’erogazione del credito. Un’uscita che ha innervosito Palazzo Chigi: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ha subito replicato di non accettare ricatti. I timori di Delrio sono analoghi a quelli del segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, che nutre dubbi circa la possibilità da parte degli istituti di «continuare a erogare il credito alle famiglie e alle piccole imprese». Patuelli, intanto, ha usato toni concilianti ma sottotraccia resta in corso un duro braccio di ferro. Oltre a ricordare un quadro che «penalizza fiscalmente le banche operanti in Italia rispetto a quanto avviene alle concorrenti degli altri Paesi Ue», il presidente dell’Abi ritiene un aggravante che venga predisposto nell’anno in cui le banche sono sottoposte all’ennesimo esame degli stress test da parte della Bce. L’appello è un invito a «un forte ripensamento sul complesso di queste decisioni della sola Repubblica italiana». Resta che, nella stagione in cui gli istituti di credito si apprestano a chiedere iniezioni per circa 10 miliardi in aumenti di capitale, i mercati non trascureranno di valutare gli effetti di una crescita al 26% dell’imposta sulla rivalutazione della quote di Via Nazionale. Il pensiero va a martedì mattina alla riapertura delle piazze finanziarie dopo la pausa festiva.
Il beneficio delle rivalutazioni delle quote ha garantito al sistema maggiore capitale per circa 7,5 miliardi di euro. All’Abi si interrogano ora sulle imprevedibili conseguenze del decreto (gli istituti maggiori azionisti di Bankitalia sono Unicredit e Intesa a cui fa capo complessivamente il 63% di Palazzo Koch). All’associazione bancaria, del resto, non va giù neanche l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26%.
Andrea Ducci
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