L’ospedale modello dell’Africa? «Uno scandalo targato Onu»

L’ospedale modello dell’Africa? «Uno scandalo targato Onu»

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Neve, Aids e povertà: il montagnoso Lesotho è uno dei pochi Paesi africani dove nevica spesso. È tra i più poveri al mondo: 10 bambini su 100 muoiono prima di vedere cinque inverni, le aspettative di vita si fermano a 50 anni (nel 1990 era di più: 60), il 25% delle donne è sieropositivo. La World Bank, che è un po’ la Banca dell’Onu con il motto «lavorare per un mondo senza povertà», sostiene di aver fatto al piccolo Lesotho un bel regalo (da esportare in tutta l’Africa): un «ospedale modello» da 425 posti letto basato su una partnership tra pubblico e privato. Oxfam, una delle più importanti ong mondiali, ha scritto un rapporto per dimostrare che si tratta di un regalo avvelenato. Il Corriere , con un ristretto gruppo di giornali come il Guardian e il Financial Times , ha letto in anteprima il rapporto Lesotho in cui Oxfam denuncia la Banca Mondiale (e l’Ifc, il suo braccio per gli investimenti nel settore privato), chiede un’inchiesta indipendente e propone di fermare la creazione di altri ospedali come quello che «sta portando alla bancarotta» il povero Lesotho. «Quell’ospedale è uno scandalo — dice al Corriere Winnie Byanyimaha, ingegnere aeronautico, ugandese, direttrice di Oxfam International —. Un’inchiesta dovrebbe valutare se ci sia stata anche corruzione. Di certo quell’affare ha reso più poveri i poveri e più ricchi gli investitori di Netcare e Tsepong». Il modello finanziario promosso dalla Banca Mondiale è fatto in modo tale da garantire ai privati (gruppo principalmente sudafricano) un ritorno del 25% e un guadagno del 7,6% maggiore al capitale iniziale.
Nel 2026 il Regina Mamohato di Maseru, capitale del Lesotho, passerà al governo. Ammesso che il sistema sanitario pubblico non sia nel frattempo andato a fondo. Per la gestione dell’ospedale aperto nel 2011, affidata interamente al partner privato Netcare (una multinazionale), lo Stato spende 67 milioni di dollari all’anno, tre volte i costi del vecchio Elisabetta II, ovvero il 51% dell’intero bilancio sanità. La lievitazione delle spese, sostiene la World Bank, è dovuta al fatto che un numero maggiore di pazienti si sono rivolti all’ospedale. Oxfam contesta con ragione questa versione. Anche accettandola, quei 425 letti costerebbero comunque una cifra enorme: 44% del budget, che non a caso il governo nei prossimi anni sarà costretto ad aumentare (ma soltanto per ripagare gli investitori). Un contratto capestro, sostiene Byanyimaha, che tra l’altro è costato al Lesotho 723 mila dollari in più per la consulenza della Banca Mondiale che dovrebbe combattere la povertà (possibilmente gratis).
Bel regalo al Lesotho. Per risparmiare qualcosa, il governo di Maseru pensa di costruirgli accanto un piccolo centro per gestire i pazienti in eccedenza del Regina Mamohato. Ma il problema più grave, dice al Corriere Anna Marriott, curatrice del rapporto Oxfam intitolato «Una pericolosa deviazione», non si vede a Maseru, dove la sede del Parlamento è un regalo dei cinesi (meno avvelenato di quello della World Bank). Tre quarti dei 2 milioni di abitanti del Lesotho vivono fuori, tra le gole e gli altopiani, la siccità e la neve: per il 25% di loro il primo avamposto sanitario (spesso derelitto) sta a tre ore di strada (impervia). Il buco nero dell’«ospedale modello» toglie fondi dove servono di più: agli interventi di sanità primaria e secondaria nelle aree rurali. Secondo la Banca Mondiale il nuovo ospedale registra una riduzione del 41% del tasso di mortalità (rispetto a quello vecchio). Ha tagliato del 10% il numero delle donne che muoiono per il parto in città. Anna Marriott ricorda che per una donna incinta che muore in città, in campagna ne muoiono quattro. Per loro la World Bank potrebbe consigliare al governo del povero innevato Lesotho di finanziare un servizio taxi in elicottero…
Michele Farina


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