L’anarcopopulismo, nuova ideologia del 99%
La crisi finanziaria del 2008 e il crescente disagio sociale nei paesi dell’occidente non hanno solo favorito la crescita di movimenti populisti della destra xenofoba. L’insofferenza diffusa contro le oligarchie politiche ed economiche ha anche scatenato una profonda trasformazione dei movimenti di protesta, con una convergenza tra la cultura neoanarchica che ha dominato i movimenti dal ‘68 a questa parte e tipiche tematiche populiste, anti-casta e anti-banche alimentate dal dissesto economico e dalla forte sfiducia popolare nei confronti delle istituzioni liberaldemocratiche.
A dispetto del loro dichiararsi non ideologici, apartitici, né di destra né di sinistra, i movimenti delle piazze – gli indignados in Spagna e Grecia, Occupy Wall Street negli Stati Uniti, e le proteste in Turchia e Brasile – condividono un’ideologia comune: l’anarcopopulismo. L’anarcopopulismo combina temi anarchici, come il rifiuto degli apparati burocratici, e la richiesta di autogestione con orientamenti populisti, come la fiducia nella volontà della maggioranza e il sospetto verso le élite. Come segnalato nel proclama di Occupy «siamo il 99%», il discorso dei movimenti di protesta di oggi rompe in modo netto con il minoritarismo dominante nella lunga ondata post-68 e con il movimento no-global. Il nuovo “prototipo” di movimento non è più l’indigeno zapatista, il migrante, lo squatter o il ribelle urbano, ma il “cittadino” e la “persona comune”, soggetti tipici della tradizione del populismo democratico, dai Cartisti inglesi al People’s Party americano.
Per riconoscere le tracce di questa nuova ideologia dei movimenti di protesta basta sintonizzarsi sulle loro fanpage Facebook e i canali Twitter, così come sulle “meme” che circolano su queste piattaforme. Un esempio per tutti è la citazione, tratta dal film culto V per Vendetta, «il popolo non dovrebbe avere paura del governo. È il governo che dovrebbe avere paura del popolo». L’anarcopopulismo rispecchia inoltre il mutamento del discorso pubblico in una fase di interregno e crisi strutturale del neoliberalismo. Il movimento anti-globalizzazione era in qualche modo costretto al minoritarismo perché operava in una fase di apogeo della dottrina neoliberale. Oggi, di fronte all’evidenza del disastro sociale da questa prodotto, parole d’ordine contro banche e istituzioni hanno acquistato un forte richiamo maggioritario, come si evince dalla partecipazione nei movimenti di piazza, a fianco dei giovani precari metropolitani, di membri della cosiddetta “maggioranza silenziosa”: negozianti, piccoli imprenditori, impiegati, con bassi livelli di politicizzazione e spesso con valori moderati o conservatori.
L’anarcopopulismo è il collante ideologico di questa convergenza tra precari e classe media in decadenza. Esso combina l’antiautoritarismo della cultura anarchica con l’odio verso le élite, i banchieri e i politici corrotti caratteristico del populismo; la fede nella capacità degli individui di auto-organizzarsi al di fuori dell’autorità di Bakunin e Kropotkin con la fiducia nella moralità dell’uomo comune di Herzen e Tolstoj; l’utopia neoanarchica della democrazia partecipativa con il sogno populista di una democrazia diretta, senza mediazioni. Si pensi alle “assemblee generali” – spesso partecipate da migliaia di persone – celebrate a Puerta del Sol o a Zuccotti Park: esse si rappresentano come una sorta di contro-parlamento, un luogo decisionale che rivendica sovranità popolare e si propone come voce della volontà collettiva, in opposizione al parlamento ufficiale dipinto come traditore del mandato popolare ed espressione degli interessi della “casta”.
Specchio del tempo presente, l’anarcopopulismo ne riflette opportunità e contraddizioni. È un’ideologia con una forte carica di contestazione che ha grandi meriti nel tentativo di superare il minoritarismo e le tendenze auto-ghettizzanti diventate una zavorra per tanti movimenti di protesta, ma non offre solidi appigli per sviluppare un’alternativa sistemica al sistema neoliberale. Animata da uno spontaneismo e uno spirito antiorganizzativo di matrice neoanarchica, la cultura anarcopopulista non risponde in modo adeguato alla questione urgente di come organizzare il dissenso in una fase di grande frammentazione e dispersione, e di come dare solidità, persistenza e coerenza strategica alle battaglie per la democrazia e la giustizia sociale che i movimenti delle piazze hanno cominciato a combattere, e che sono ancora ben lontane dall’essere vinte.
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