Jobs Act: rivisto, ma non corretto
Il disegno di legge delega sul lavoro varato il 12 marzo per riformare gli ammortizzatori sociali, creare una nuova agenzia federale per le politiche attive lavorative e riordinare le forme contrattuali è stato incardinato alle Camere sotto i peggiori auspici. Ieri, al termine della prima giornata di audizioni in Commissione lavoro alla Camera, il suo presidente Cesare Damiano (Pd) ha sostenuto che le trasformazioni a tempo indeterminato dei contratti interinali sono crollate del 10% nella settimana successiva alla presentazione del decreto Poletti, il «Jobs Act» di cui ha parlato Renzi per mesi.
Il dato sul crollo delle trasformazioni degli interinali in tempi determinati è un chiaro segnale di conferma della tendenza emersa sin dall’approvazione della riforma Fornero che il governo intende affrontare cancellando per 36 mesi la «causalità» dei contratti a termine, gli intervalli temporali tra un rinnovo e un altro. Secondo il governo i contratti a termini potrebbe essere rinnovati fino a 8 volte senza causale. Una prospettiva che ha sollevato molte critiche anche dentro il Partito Democratico.
Il presidente della Commissione Lavoro alla Camera Damiano ieri ha sostenuto che «sono troppe e riteniamo che si debba procedere alla riduzione del loro numero, in caso contrario si accentuerebbe una spinta verso la precarizzazione del lavoro». Il ministro del lavoro Poletti ha aperto a questa possibilità nelle ultime ore, confermando che «l’impianto del decreto non si tocca». Anche sull’apprendistato si registrano cambiamenti: dovrebbero rientrare nella partita le Regioni, che hanno in mano la formazione professionale, a condizione però di non stabilizzare una quota dei contratti esistenti come condizione per avviarne di nuovi.
Poletti ha anche confermato l’intenzione del governo di intervenire sulle partite Iva e i co?.co?.pro «per far sì che siano usati in modo corretto e non strumentale». L’ossessione del governo, come del resto di quelli precedenti resta «la quantità infinita di partite Iva discutibili, fasulle», vale a dire quei lavoratori autonomi che lavorano in maniera esclusiva per un datore di lavoro, ma con la partita Iva non con un contratto. Queste figure, che il governo intende ricondurre nell’universo del lavoro dipendente, sarebbero 400 mila. Questa è la stima dell’Isfol. Al momento, nessuna iniziativa è stata annunciata per garantire tutele sociali (e la riduzione dell’Irpef pari a 80 euro al mese per i dipendenti) anche agli autonomi che lavorano esclusivamente con la partita Iva
Il percorso della legge delega si preannuncia lungo e il quadro generale resta comunque inalterato. Per Renzi il dl Poletti «sarà votato dalla maggioranza che sostiene il governo, se poi arriva anche il voto di Forza Italia, bene». In un’intervista a Rtl 102,5 Renzi ha parlato di «salario minimo e di un «assegno universale di disoccupazione». L’«assegno» attualmente contenuto nella delega non è affatto universale, ma condizionato alle tipologie di contratto, senza contare che pratica una discriminazione tra i dipendenti che hanno perso il lavoro (il sussidio potrebbe durare fino a 2 anni) e i precari con almeno tre mesi di busta paga (in questo caso il sussidio durerebbe fino a solo sei mesi).
Intervenuto in commissione lavoro alla Camera, il giuslavorista Piergiovanni Alleva ha ribadito le ragioni della sua opposizione al provvedimento sul lavoro. «È l’atto di morte del diritto del lavoro, come diritto che tutela la parte debole — ha detto Alleva — Perché un contratto a termine senza causale è in sé un ossimoro e una contraddizione evidente. Per la verità si tratta di un problema di potere sociale. Il lavoratore a termine è un lavoratore in condizione di minorazione di diritti, è una persona che non può protestare specialmente se fuori c’è tanta disoccupazione, vive nella speranza che il contratto sia rinnovato e nel timore che non lo sia». Assestamenti minori senza toccare l’acausalità non servirebbero — ha precisato Alleva — e non toccherebbero il cuore del problema».
La cancellazione della causale è stata spiegata da Renzi in un’intervista a Il Corriere della Sera, come uno strumento necessario per «far lavorare la gente». Al contrario, il problema sta tutto dalla parte delle imprese che il governo intende corteggiare liberalizzando totalmente i contratti a termine, cioè la forma più diffusa di precariato in Italia. Il risultato potrebbe essere quello temuto da tanti: le imprese ricorreranno ai contratti precari e, prima della scadenza, non li rinnoveranno. E si rivolgeranno ad altri lavoratori, replicando lo schema all’infinito. Per le donne ci saranno danni aggiuntivi. «Basterà fare loro sistematicamente contratti brevi, non rinnovandoli alla scadenza in caso di gravidanza» ha scritto la sociologa Chiara Saraceno.
Al termine della sua audizione Alleva ha posto un problema generale. A suo avviso, il decreto Poletti ha le «stimmate di un atto illegittimo» perché contrasta con la direttiva europea 70 del 1999 secondo la quale il contratto a termine si basa su una ragione produttiva temporanea. Per intendersi, è lo stesso abuso perpetuato ai danni dei precari della scuola. Su questo si esprimerà a breve anche la corte di giustizia europea. Per il giuslavorista, l’approvazione del decreto porterà ad un contenzioso vvastissimo davanti alla Corte Costituzionale, alla Corte di giustizia europea e in tutti i tribunali del lavoro. I ritocchi promessi dal governo non serviranno ad evitare il caos. Alleva ha formulato un’ipotesi più che attendibile: «Le fabbriche sono piene di contratti a termine illegittimi, il decreto sul lavoro è una sanatoria».
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