by redazione | 8 Aprile 2014 11:17
PALERMO. Dottore Ingroia, ha letto cosa ha riferito il suo ex capo, il procuratore Francesco Messineo, al Csm: lei avrebbe utilizzato in modo spregiudicato il suo ruolo per ragioni politiche.
«Sono abbastanza stupito. La ricostruzione di Messineo non corrisponde in alcun modo alla verità. L’indagine sulla trattativa è nata molto tempo prima del mio impegno in politica».
Evidentemente Messineo ritiene che lei meditasse quel passo da parecchio tempo…
«Posso capire il disagio di Messineo rispetto a un procedimento, quello davanti al Csm, che poteva preludere ad azioni disciplinari o para disciplinari e quindi il suo tentativo di ingraziarsi il Consiglio superiore…».
Prendendo le distanze da lei?
«Giocando al tiro a bersaglio su Ingroia, sport molto in voga».
Però da quella inchiesta lei ne è uscito.
«Sì, perché l’indagine è cosa diversa dal processo, io non ritengo si possa arrivare oltre quella solida ipotesi accusatoria che abbiamo portato a dibattimento».
C’era altro che rimane fuori?
«Rimane fuori l’accertamento di tutta la verità su quella stagione ».
Poteva aprire un’inchiesta bis?
«Ritenevo e ritengo esaurito il mio impegno su quel fronte. Va riformata la politica se si vuole arrivare alla verità e su quel versante mi sono messo in gioco. L’indagine era stata depotenziata già e si era arenata. Il tempo mi ha dato ragione».
Rivoluzione Civile ha raccolto molto meno di quanto ci si aspettasse.
«Rivendico di aver corso in proprio senza farmi adottare e assicurare un posto in Parlamento, perché evidentemente tanto spregiudicato non ero. Non avevamo ben compreso che il sistema andasse verso un tripolarismo, con l’avanzata di Grillo, e poi c’è stata la netta chiusura del centrosinistra nei miei confronti».
Però un po’ di protagonismo in meno quando ancora vestiva la toga forse le avrebbe giovato?
«Io mi sono assunto il compito di parlare quando, di fronte agli attacchi, il mio capo taceva e taceva anche l’Anm o ci si rivoltava contro. Se, come accaduto quando ho lavorato con Paolo Borsellino o con Giancarlo Caselli, il procuratore avesse risposto, non c’era ragione che lo facesse l’aggiunto. Mi sono trovato a supplire a una carenza, nell’interesse dell’ufficio e a protezione dei miei colleghi ».
Poi ha finito per personalizzare lo scontro?
«Mi è accaduto quello che è successo a Caselli, più che parare gli attacchi finivo per attirarmeli, da destra a sinistra, così ho deciso di
lasciare».
Il quadro però è cambiato, non crede?
«Non mi pare, assistiamo a molte promesse ma la sensibilità della politica verso i temi sollevati dal processo e nei confronti dei magistrati di Palermo più esposti non è mutato. Non ci sono degli evidenti segnali di volere voltare pagina».
È più tornato in Procura?
«Dopo due anni, solo per accompagnare Tsipras che ha voluto incontrare Nino Di Matteo e gli altri. Deve venire il “Papa straniero” per accorgersi di quello che accade».
Su Messineo avrà cambiato opinione…
«L’ingratitudine non è ragione sufficiente per rimpiangere di essere stati altruisti».
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