by redazione | 29 Aprile 2014 9:40
«Trovo sconcertante che l’ennesimo appello di Napolitano sulla questione delle carceri, che fa seguito alla promessa di interessamento del Santo Padre, venga ridotto, come sta avvenendo in queste ore, ad una avvilente guerra di numeri sui detenuti presenti nelle carceri del Lazio». Parla da garante dei detenuti della sua regione, Angiolo Marroni, ma il suo ragionamento si potrebbe estendere a tutto il Paese. Perché ancora una volta le cifre snocciolate ieri su Repubblica dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino (in attesa di sapere se a fine maggio lo spoil system renziano penalizzerà anche lui) sono state contestate non solo dalle associazioni di settore o dai Radicali, ma anche dagli stessi sindacati di polizia penitenziaria. «Nessun dimezzamento del sovraffollamento carcerario», smentisce il segretario del Sappe, Donato Capece, che accusa di «mille chiacchiere ed anche di alcune bugie» Tamburino, per il quale il «problema dei 3 metri quadri» minimi per ciascun detenuto è stato ormai superato, sebbene «con grande fatica».
Ma il problema delle carceri, e più in generale del sistema penale italiano, non è solo la mancanza di spazio vitale. I detenuti nelle mani dello Stato continuano ad essere torturati in molti modi (non solo come sanzionato dalla Corte europea dei diritti umani con la sentenza pilota Torreggiani che andrà in applicazione il 28 maggio prossimo), uccisi o lasciati morire, come dimostra l’ultimo caso, nel carcere di Giarre, a Catania, dove un uomo di 32 anni a cui mancavano cinque giorni per il fine pena, cardiopatico e sottoposto a ossigenoterapia, è morto di infarto ma per cause su cui la magistratura sta indagando. Il paradosso è che su quell’istituto – a custodia attenuata perché ospita principalmente tossicodipendenti –, come sugli altri 7 mila reclusi nelle carceri siciliane, non c’è alcun Garante dei detenuti a vigilare perché la Sicilia al momento ne è sprovvista. La giunta regionale ha infatti deciso di “congelarne” l’ufficio in cui «giacciono inevase oltre mille lettere di carcerati – come ha raccontato l’ultimo Garante siciliano, Salvo Fleres – e tra queste non escludo che ci sia anche la richiesta d’aiuto del ragazzo morto a Giarre».
In questo contesto sembra incredibile che ancora ieri né alla Camera né al Senato sia stato calendarizzato l’avvio della discussione sul messaggio che Giorgio Napolitano ha inviato al Parlamento l’8 ottobre scorso per chiedere un intervento urgente sulle carceri. A Montecitorio in realtà a inizio febbraio c’era stata una finta partenza, e Marco Pannella aveva allora interrotto la sua iniziativa non violenta che ancora in queste ore sta portando avanti per ottenere l’«amnistia per la Repubblica». Domenica scorsa il capo dello Stato ha ringraziato, in piazza San Pietro, Papa Francesco per «il generoso gesto» di telefonare al leader radicale. Ma ha poi ricordato ai partiti che «in effetti, è ora — a distanza di oltre sei mesi dal messaggio da me rivolto al Parlamento a questo proposito — di fare il punto sulle misure adottate e da adottare, anche in ossequio alla nota sentenza della Cedu». Forse fiato sprecato, se il capo dell’amministrazione penitenziaria giura che il problema che ha portato alla condanna di Strasburgo è stato risolto. Per fortuna questa volta non è solo Antigone a parlare di «manipolazione dei posti regolamentari in carcere», ma Capece. A dire che ce ne sono «6 mila in meno» rispetto alle stime ufficiali sono stavolta i “poliziotti”. Ce qualcuno nel governo che vuole smentirli?
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