Europa. La tenaglia di mercato e finanza

Europa. La tenaglia di mercato e finanza

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Non è ragio­ne­vole con­fon­dere lo stru­mento (la moneta “comune” euro­pea, l’euro) con le cause strut­tu­rali del fal­li­mento delle poli­ti­che di “cre­scita”, di con­ver­genza eco­no­mica e d’integrazione poli­tica dell’Europa. Essendo un sim­bolo forte della Mala Europa, l’euro è diven­tato un ber­sa­glio troppo facile e imme­diato su cui sca­ri­care la giu­sta rab­bia dei cit­ta­dini euro­pei per una Unione euro­pea i cui gruppi domi­nanti hanno sba­gliato tutto. Ma ciò non è suf­fi­ciente per costruire un’Altra Europa: biso­gna andare al cuore dei pro­blemi ed attac­care il sistema edi­fi­cato ed impo­sto nel corso degli ultimi trent’anni, di cui l’euro è uno degli ingra­naggi più recenti.

Il punto cri­tico è distrug­gere la tena­glia mercato/finanza che ha stretto in una morsa mor­tale le società euro­pee sof­fo­cando lo Stato dei diritti e la giu­sti­zia sociale, deva­stando la ric­chezza col­let­tiva (i beni comuni), demo­lendo le già deboli forme di demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva e par­te­ci­pata. Distrug­gere la tena­glia signi­fica ridare ai cit­ta­dini euro­pei la capa­cità di costruire un futuro hic et nunc.

A par­tire dagli anni ’70, le classi diri­genti euro­pee si sono tro­vate ad affron­tare una serie di grossi pro­blemi: la crisi ambien­tale dello “svi­luppo”, il col­lasso del sistema finan­zia­rio mon­diale (1971–73), la fine del domi­nio dei paesi occi­den­tali sul prezzo del petro­lio (1973, 1978), l’emergenza dei paesi del “Terzo Mondo” e, soprat­tutto, la rivolta dei deten­tori di capi­tale con­tro la ridu­zione dei tassi di pro­fitto per il capi­tale pri­vato, inter­ve­nuta negli anni ’60 e ’70, con­se­guente al buon fun­zio­na­mento dello Stato del Wel­fare. Que­sto aveva con­sen­tito un rie­qui­li­brio nella redi­stri­bu­zione della ric­chezza pro­dotta a favore dei red­dito da lavoro e della ric­chezza col­let­tiva (beni e ser­vizi d’interesse gene­rale). A livello euro­peo si trat­tava di supe­rare l’impasse in cui i con­flitti d’interesse fra i gruppi domi­nanti “nazio­nali” ave­vano con­dotto l’integrazione eco­no­mica e poli­tica dell’Europa.

Acce­cati dai dogmi del capi­ta­li­smo mer­can­ti­li­sta e finan­zia­rio, dalla bra­mo­sia di arric­chi­mento e di potenza, i gruppi domi­nanti hanno cre­duto di risol­vere i pro­blemi dando il potere di rego­la­zione e di con­trollo (“le regole della casa”) al mer­cato ed alla finanza, i crea­tori di ric­chezza in un’economia capitalistica.

In nome dei prin­cipi della libe­ra­liz­za­zione, della mer­ci­fi­ca­zione e della pri­va­tiz­za­zione dei beni e dei ser­vizi, hanno creato (nel 1992) il “mer­cato comune euro­peo” e favo­rito la crea­zione (nel 1994) dell’Omc (Orga­niz­za­zione Mon­diale del Com­mer­cio). L’importanza del potere attri­buito al mer­cato sta nel fatto che cosi facendo i gruppi domi­nanti hanno affi­dato il potere di rego­la­zione e di con­trollo del valore delle cose e di defi­nire le prio­rità ai mec­ca­ni­smi di scam­bio e al prin­ci­pio della mas­si­miz­za­zione delle uti­lità indi­vi­duali con­cor­renti, toglien­dolo alla col­let­ti­vità e alle auto­rità poli­ti­che sta­tuali. Tant’è che in pochi anni l’Unione euro­pea ha san­cito che ogni inter­vento dei poteri pub­blici nelle mate­rie sot­to­messe al mer­cato interno euro­peo era nocivo e quindi ille­gale per­ché fat­tore di distor­sione dei mec­ca­ni­smi rego­la­tori del mer­cato. Più mer­cato con Stato zero (ten­den­zial­mente), è stato il blocco di ferro su cui hanno for­giato la prima gana­scia della tenaglia .

E’ però dif­fi­cile far fun­zio­nare dei mer­cati inte­grati senza una moneta comune sulle cui basi svi­lup­pare le atti­vità finan­zia­rie ed orga­niz­zare i mer­cati finan­ziari. Da qui la for­ma­zione del secondo brac­cio di ferro della tena­glia: la crea­zione dell’euro, la moneta unica, senza però creare un potere poli­tico pub­blico euro­peo (1997/2000) respon­sa­bile della poli­tica mone­ta­ria e finanziaria.

La poli­tica mone­ta­ria è stata affi­data ad una nuova isti­tu­zione, la Banca Cen­trale Euro­pea poli­ti­ca­mente indi­pen­dente dalle isti­tu­zioni dell’Unione. Nem­meno il Par­la­mento euro­peo, rap­pre­sen­tante eletto di 509 milioni di cit­ta­dini, può dire qual­cosa alla Bce. Que­sta è l’unica banca cen­trale al mondo inte­ra­mente sovrana sul piano poli­tico. Altro che demo­cra­zia! La crea­zione della moneta “comune” senza un governo poli­tico euro­peo è stata una scelta deli­be­rata, quella di togliere agli Stati ed ancor più ad un even­tuale “governo fede­rale euro­peo demo­cra­ti­ca­mente legit­ti­mato” il potere di deci­sione nel campo della moneta e con­se­guen­te­mente della finanza. Cosi, la respon­sa­bi­lità della poli­tica finan­zia­ria è stata data agli ope­ra­tori finan­ziari, sem­pre più internazionali/globalizzati, attra­verso le misure prese a par­tire dagli anni ’80 quali:

– abban­dono dei con­trolli sui movi­menti inter­na­zio­nali dei capi­tali, dopo l’abbandono nel 1973 dei tassi di cam­bio fissi tra le monete e con­se­guente esplo­sione dei mer­cati delle divise, nido pro­li­fico degli speculatori.

– pri­va­tiz­za­zione di tutti gli ope­ra­tori finan­ziari e eli­mi­na­zione della distin­zione tra atti­vità assi­cu­ra­tive e ban­ca­rie, tra ban­che di depo­sito e di cre­dito, e tra i vari set­tori ban­cari (agri­colo, indu­striale, com­mer­ciale, arti­gia­nato, lavoro),

– lega­liz­za­zione degli hedge funds (fondi d’investimento) alta­mente spe­cu­la­tivi — fino a giun­gere recen­te­mente alle tran­sa­zioni finan­zia­rie “ad alta fre­quenza” cioè ai mil­le­simi di minuto — da cui sono nati i pro­dotti deri­vati che sono stati alle ori­gini delle gravi crisi finan­ziare del 2001 e del 2008 che hanno distrutto decine e decine di milioni di posti di lavoro.

Quest’insieme di misure ha dato vita ad un sistema finan­zia­rio detto “la banca totale”, iper-oligopolistico, con­tras­se­gnato dall’emergenza di enormi com­plessi finan­ziari pri­vati tanto potenti da diven­tare too big to fail pena il col­lasso glo­bale del sistema capi­ta­li­stico mon­diale. L’intera eco­no­mia è così scap­pata al con­trollo pub­blico, il potere poli­tico è stato pri­va­tiz­zato, la sovra­nità poli­tica degli stati nazio­nali è stata ridotta a pura for­ma­lità . Il Patto di bilan­cio 2012–14 (Fiscal Com­pact) rap­pre­senta l’ultima mossa dello schiac­cia­mento della sovra­nità degli Stati dell’Ue.

In que­ste con­di­zioni il pro­blema non è di uscire o restare nell’euro — né tan­to­meno di creare una moneta veneta o di aggiun­gere all’euro una nuova moneta ita­liana — ma di rom­pere la tena­glia e libe­rare le società euro­pee dalla morsa mercato/finanza cam­biando radi­cal­mente un intero sistema mone­ta­rio, finan­zia­rio, eco­no­mico, legi­sla­tivo e poli­tico sostan­zial­mente malefico.

Il Regno Unito non è mai entrato nell’euro e appa­ren­te­mente ha con­ser­vato la sovra­nità nazio­nale sulla sua moneta. Eppure, il Regno Unito è diven­tato una delle società più ine­guali, più ingiu­ste e meno demo­cra­ti­che dei paesi svi­lup­pati del mondo. Il popolo inglese non è affatto libero, è sot­to­messo alle deci­sioni dei poteri mon­diali finan­ziari della City. Inver­sa­mente, restare nell’euro come affer­mano Schultz, Bar­roso, Mer­kel, Hol­lande, Junc­ker e tan­tis­simi altri lea­ders poli­tici (quali Renzi) , signi­fica man­te­nere la Mala Europa, rin­for­zare le cause che con­du­cono alla cre­scita della disoc­cu­pa­zione ed ali­men­tare i fat­tori strut­tu­rali all’origine dei pro­cessi d’impoverimento in Europa (quasi 120 milioni d’impoveriti nel 2012 in seno all’Ue) e con­ser­vare un’Europa che con­ti­nua a con­si­de­rare clan­de­stini chi cerca di immi­grare in Europa e non pos­siede un diploma uni­ver­si­ta­rio elevato.

Occorre lavo­rare su solu­zioni strut­tu­rali pre­cise: azze­ra­mento del debito pub­blico deri­vato dalla crisi del sistema finan­zia­rio; eli­mi­na­zione dell’indipendenza poli­tica della Bce; rien­tro delle ban­che cen­trali sotto il con­trollo pub­blico; ripub­blic­ciz­za­zione delle casse di rispar­mio e delle ban­che coo­pe­ra­tive e delle prin­ci­pali ban­che d’interesse pub­blico gene­rale; uscita dei beni e dei ser­vizi comuni pub­blici (come l’acqua, la casa, la salute, le sementi, l’educazione) dalle logi­che mer­can­tili e divieto d’intervento in detti campi alle imprese quo­tate in borsa; poli­ti­che fiscali e di con­trollo della spe­cu­la­zione finan­zia­ria (para­disi fiscali, ren­dite, messa fuori legge dei pro­dotti deri­vati e degli hedge funds…), impulso alla rina­scita delle forme eco­no­mi­che coo­pe­ra­tive e mutua­li­sti­che a forte orien­tam­mento locale (nuovo svi­luppo dell’agricoltura bio­lo­gica e dell’agricoltura con­ta­dina…), mol­ti­pli­ca­zione delle “monete locali” (rivolte a libe­rare i rap­porti umani dalla mone­ta­riz­za­zione, del tutto diverse dalle fumose “micro­mo­nete” nazional-indipendenti).


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