Egitto, condanna a morte per 683 «Fratelli»

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Le urla di dispe­ra­zione dei fami­liari dei con­dan­nati hanno accolto la sen­tenza, pro­nun­ciata dal tri­bu­nale di Minia, che ha dispo­sto la pena di morte per 683 soste­ni­tori della Fra­tel­lanza. Le con­danne si aggiun­gono alle 528, dispo­ste dallo stesso tri­bu­nale, nel pro­cesso che vede impu­tati 1200 affi­liati al movi­mento per gli scon­tri che hanno avuto luogo nella città dell’Alto Egitto dopo il mas­sa­cro di Rabaa al Ada­weya: il sit-in dei pro-Morsi disperso da poli­zia e mili­tari. La sen­tenza defi­ni­tiva, prima della deci­sione della Cas­sa­zione, è attesa per il 21 giu­gno. I giu­dici hanno com­mu­tato in erga­stolo la pena di morte per 492 soste­ni­tori del movi­mento. Viene così con­fer­mata la con­danna a morte per la guida suprema, Moham­med Badie.

«Le con­danne mostrano l’aspetto san­gui­na­rio del golpe mili­tare che spinge la magi­stra­tura a com­met­tere nuovi cri­mini con­tro l’umanità». È la rea­zione del por­ta­voce dei Fra­telli musul­mani, Hatem Azam. Come non bastasse, la corte del Cairo ha messo fuori legge il movi­mento 6 aprile, pro­ta­go­ni­sta delle rivolte di piazza Tah­rir nel 2011. I lea­der Ahmed Meher e Ahmed Doma erano stati con­dan­nati a tre anni per aver vio­lato la legge anti-proteste che vieta mani­fe­sta­zioni non orga­niz­zate. Si sus­se­guono così con­danne a con­danne con pro­cessi som­mari e sen­tenze lampo, per una repres­sione senza pre­ce­denti delle opposizioni.

In vista delle pre­si­den­ziali di mag­gio, per la Fra­tel­lanza si apre la com­pleta esclu­sione poli­tica. Il movi­mento è stato dichia­rato gruppo ter­ro­ri­stico dopo l’attentato alla sta­zione di poli­zia nella città di Man­sura, lo scorso 24 dicem­bre. L’esclusione poli­tica e delle atti­vità sociali del movi­mento, per la prima volta nella sto­ria egi­ziana, tra­sfor­me­rebbe l’accordo tra eser­cito e giu­dici nel sim­bolo di un’alleanza tra «moder­niz­za­tori» per annien­tare un movi­mento dipinto come «anti-moderno».

È pos­si­bile però che, con­si­de­rando la bassa affluenza alle urne per il refe­ren­dum, l’esercito opti per una semi-esclusione: la totale estro­mis­sione dalla sfera poli­tica, ma una par­ziale tol­le­ranza delle sue atti­vità civili. Si ripro­dur­rebbe così lo schema di Muba­rak che costrin­geva gli isla­mi­sti alla semi-clandestinità per­met­tendo loro di par­te­ci­pare alle ele­zioni come indi­pen­denti. Infine, seb­bene la Costi­tu­zione voluta dai mili­tari lo vieti, si potrebbe pro­fi­lare l’inclusione del movi­mento nel fram­men­tato sistema poli­tico, con un soste­gno infor­male degli isla­mi­sti all’unico can­di­dato laico alle pre­si­den­ziali. Non è chiaro fino a che punto l’esercito vorrà repri­mere le atti­vità cari­ta­te­voli del movi­mento; i segnali non sono inco­rag­gianti. I diri­genti di molte scuole vicine alla Fra­tel­lanza sono sotto controllo.

L’esercito setac­cia le atti­vità della scuola di Man­sura, gestita dalla sorella del lea­der del movi­mento in pri­gione, Khai­rat al Sha­ter. La Com­mis­sione par­la­men­tare, inca­ri­cata di con­ge­lare i beni della Fra­tel­lanza, ha seque­strato i fondi di cin­que ong affi­liate. Lo scorso marzo, il comi­tato ha deciso di tra­sfe­rire il mana­ge­ment di 22 ong (da ago­sto sono oltre mille) met­ten­dole sotto il diretto con­trollo del governo. Nel gen­naio 2014, i beni di 710 espo­nenti della Fra­tel­lanza sono stati con­ge­lati, incluse auto­vet­ture, pro­prietà ter­riere e aziende. Decine di scuole del movi­mento sono state seque­strate o chiuse.

Gli isla­mi­sti hanno dimo­strato di non agire in discon­ti­nuità con il pre­ce­dente regime nell’anno in cui sono stati al governo. La tren­ten­nale oppo­si­zione a Muba­rak ha logo­rato il movi­mento, che non ha saputo intac­care il potere dell’esercito, della classe diri­gente del Par­tito nazio­nale demo­cra­tico e del mini­stero dell’Interno. La mac­china dello stato non rispon­deva agli ordini dell’ex pre­si­dente Morsi, men­tre c’erano segnali di coop­ta­zione di uomini del vec­chio regime, ad esem­pio all’interno dei sindacati.

I Fra­telli musul­mani ope­ra­vano seguendo le stesse logi­che di Muba­rak. Più di una volta Essam el Arian, nelle inter­vi­ste rila­sciate al mani­fe­sto, con­si­gliava di leg­gere Jil­les Kepel per capire cosa stesse acca­dendo nel brac­cio di ferro con l’esercito dopo il golpe, come se si stesse ripe­tendo una dina­mica con­so­li­data. Per que­sto, non ha scon­fitto la Fra­tel­lanza l’odio della società per cui ora sta­rebbe abban­do­nando la poli­tica per ripie­gare sulle sue atti­vità cari­ta­te­voli, come sug­ge­ri­scono molti ana­li­sti, ma la com­pleta assenza di con­trollo sulle forze di sicurezza.



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