« Disastro ambientale per la centrale Enel » Agli ex manager 3 anni
Ombre e fantasmi aleggiavano da quasi un decennio attorno alla centrale termoelettrica Enel di Porto Tolle (Rovigo), una delle più grandi d’Europa, costruita tra il 1980 e il 1984 nel cuore del Delta del Po, da sempre nel mirino di ambientalisti e comitati civici per la quantità e la qualità delle emissioni, denunciate come nocive sia per l’ambiente che per la salute delle popolazioni che vivono nella zona. Ieri, a fissare un primo punto in una vicenda che farà discutere e che presumibilmente attraverserà tutti i gradi dell’iter giudiziario, è arrivata la sentenza di primo grado del tribunale di Rovigo che ha condannato per disastro ambientale doloso («Per aver messo in atto condotte che mettono in pericolo la comunità») due pezzi da novanta: Paolo Scaroni, 67 anni, attuale amministratore delegato dell’Eni, ex ad Enel dal 2002 al 2005, e Franco Tatò, 81 anni, che ricoprì lo stesso incarico dal 1996 al 2002. Ad entrambi è stata inflitta una pena di 3 anni e l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni (il pm Manuela Fasolato aveva chiesto 5 anni e 3 mesi per il primo e 7 anni per il secondo). Assolto invece l’attuale ad di Enel, Fulvio Conti, 66 anni, per mancanza di elemento soggettivo.
I fatti si riferiscono al periodo tra il 1998 e il 2005 quando la centrale, che nei piani iniziali avrebbe dovuto coprire l’8% del fabbisogno nazionale di energia elettrica, funzionava ad olio combustibile (è inattiva dal 2009). La tesi di fondo dell’accusa è che vi sia un nesso tra l’attività della centrale (nocività delle emissioni e omessa installazione di apparecchiature di controllo) e i danni provocati all’ambiente e alla pubblica salute, in particolare un aumento delle patologie respiratorie tra i bambini fino a 14 anni. Secondo uno studio epidemiologico effettuato dall’Asl nel raggio di 25 chilometri, tra i residenti sarebbe stato accertato «un incremento in maniera massiccia di affezioni bronchiali». Con un incremento dei ricoveri, secondo una ricerca dei consulenti Paolo Crosignani e Teresa Magnani, «pari al 10-15%, dato tutt’altro che trascurabile». Tra le sostanze nocive citate dall’accusa compaiono «So2, Nox, polveri, particolato e metalli tra cui il vanadio, tutti emessi in ingenti quantità dalla centrale tra il 1998 e il 31 dicembre 2004».
Una tesi respinta energicamente dal collegio dei difensori che ha accolto ieri «con soddisfazione» l’assoluzione dell’attuale amministratore Conti e di altri sei dirigenti, sostenendo che «le accuse più rilevanti sono cadute» e che «nessun danno sanitario o ambientale è stato riconosciuto dal tribunale, facendo così venir meno il nucleo fondamentale della tesi accusatoria e della consulenza epidemiologica su cui aveva puntato il pm».
Resta il nodo, delicatissimo, delle posizioni di Scaroni e Tatò. I loro legali sono convinti che «entrambi abbiano sempre operato nel pieno rispetto delle leggi» e sono altrettanto convinti di riuscire ad ottenere «piena giustizia in appello attraverso la serena rilettura delle prove agli atti». Per il momento, però, i due manager non l’hanno presa affatto bene. Scaroni si è detto «stupefatto da questa decisione dei giudici», riaffermando la sua «totale estraneità dalla vicenda» e ribadendo che «la centrale di Porto Tolle ha sempre rispettato gli standard in vigore all’epoca». Altrettanto perentoria la reazione di Franco Tatò: «Considero assurda questa sentenza, che scuote la mia teutonica fiducia nella giustizia: sono certo che chi gestiva la centrale 15 anni fa ha sempre rispettato le norme, vedremo in appello».
I due ex amministratori delegati sono stati inoltre condannati al pagamento di una provvisionale complessiva di 430 mila euro destinata alle parti civili. Un fronte, quest’ultimo, decisamente affollato: dal ministero dell’Ambiente e della Salute (che ha stimato in 3,6 miliardi di euro i danni provocati dalla centrale Enel), alla Provincia di Rovigo affiancata da alcuni Comuni del Polesine, fino ad arrivare a Italia Nostra, Legambiente, Wwf e Greenpeace.
Francesco Alberti
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