by redazione | 12 Aprile 2014 12:28
L’aumento netto mensile di 80 euro che 10 milioni di lavoratori dipendenti, per la maggior parte nel pubblico impiego, riceveranno in busta paga dal 27 maggio verranno compensati dai risparmi ottenuti dal blocco dei contratti degli impiegati pubblici fino al 2020. È la politica della mano che dà e della mano che toglie, così Cesare Damiano — presidente della commissione Lavoro della Camera ed esponente dello stesso partito del presidente del consiglio Renzi – ha definito il contenuto principale, e al momento più chiaro, della spending review con la quale il governo finanzierà il taglio dell’Irpef e la campagna elettorale del Pd.
Dopo il fuoco di fila da parte dell’opposizione interna a questo partito, nel pomeriggio di ieri il governo è corso ai ripari. Il ministero dell’Economia ha infatti smentito che nel Def sia previsto il blocco dei contratti fino al 2020. Il Mef sostiene di avere riproposto il blocco già previsto fino al 2017 da Letta e che le eventuali risorse per i rinnovi verranno trovate nella legge di stabilità. In attesa, dunque, della finanziaria non è possibile dire se il blocco sarà prolungato di tre anni in più. Ciò non toglie che la riduzione della spesa sugli stipendi durerà fino al 2017 e non depotenzia la protesta crescente. Il governo ha dovuto incassare ieri anche il giudizio in chiaroscuro del Fondo Monetario Internazionale che ha apprezzato l’idea di ridurre l’Irpef con il taglio della spesa pubblica, ma ha avvertito via XX settembre: il taglio deve essere permanente, quindi deve durare più a lungo del 2017 preventivato.
La riduzione delle tasse sta producendo contraccolpi proprio nel mondo del lavoro dipendente che dovrebbe beneficiare dei suoi effetti. È uno dei paradossi dell’austerità espansiva, di cui Renzi è un volenteroso, ma tardivo propagandista. Quella messa in cantiere in settimana è, in effetti, «una manovra che taglia e restituisce i soldi», così l’ha definita ieri Renzi che ha anche smentito la notizia che sia in arrivo una manovra aggiuntiva da 4,5 miliardi di euro. Il taglio, e la restituzione dei soldi, andranno a parziale risarcimento di alcune delle vittime delle politiche fiscali restrittive, ma non rimedieranno alle perdite provocate dal blocco dei contratti per 8,5 milioni di persone nel pubblico e nel privato.
L’Unione Sindacale di Base ha annunciato uno sciopero generale. Il Def «è una follia – sostiene Luigi Romagnoli, dell’esecutivo nazionale Usb Pubblico Impiego — i contratti sono ormai fermi dal dicembre del 2009 e i lavoratori pubblici hanno abbondantemente pagato il costo della crisi». La Flc-Cgil ha lanciato la mobilitazione sull’istruzione. «Nel Def c’è anche la revisione del contratto degli insegnanti, il reclutamento degli insegnanti e dei dirigenti, incentivi alle università e valutazione individuale con i quali si vuole cancellare il contratto nazionale» denuncia il segretario Domenico Pantaleo.
Il blocco dei contratti, e delle retribuzioni, nella scuola sarà ancora più duro, durerà per 4 e non per 3 anni. In queste condizioni, difficilmente il ministro dell’Istruzione Giannini potrà dare seguito ai suoi annunci sulla meritocrazia tra gli insegnanti. Nelle sue intenzioni, infatti, c’è il desiderio di premiare il «merito» e non l’anzianità ottenuta con gli scatti contrattuali. riguarda in particolare il meccanismo degli scatti di anzianità. Se la programmazione del governo di cui fa parte verrà confermata, difficilmente il ministro potrà continuare ad usare il Fondo di istituto con il quale i suoi predecessori sono riusciti a salvare gli stipendi dal blocco degli scatti.
L’Anief aggiunge un altro tassello in questo mosaico. Tra tagli, blocchi e risparmi tra il 2006 e il 2012, il personale della scuola ha perso uno stipendio annuo da 30 mila euro. Questa tendenza continuerà fino al 2017: «Si va sempre più verso la proletarizzazione del lavoro del personale» commenta il presidente Anief Marcello Pacifico.
La spending review prolunga inoltre il blocco del turn-over per i dipendenti pubblici fino al 2017, mettendo i bastoni tra le ruote al ministro per il pubblico impiego Madia sul prepensionamento di questi lavoratori che dovrebbero essere parzialmente sostituiti dall’ingresso dei giovani. La «staffetta generazionale» è ferma ai blocchi di partenza.
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