Decreto salva Roma Bagarre e saluti fascisti sul voto di scambio

Decreto salva Roma Bagarre e saluti fascisti sul voto di scambio

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ROMA — Con la chiusura della seduta fissata alle 14 di un giovedì, per i grillini scatenati nell’Aula del Senato («Fuori la mafia dallo Stato», hanno urlato ai colleghi) è stato un gioco da ragazzi bloccare il testo che riformula, e di fatto rende applicabile, il reato di voto di scambio politico-mafioso (416 ter). Pd, FI e Ncd hanno provato a forzare la mano votando una richiesta di «chiusura anticipata della discussione generale» (una «ghigliottina» sul dibattito) ma poi, vista la protesta dei Cinquestelle, il controllo dell’Aula è sfuggito di mano ai presidenti di turno (Roberto Calderoli e Linda Lanzillotta; il presidente Pietro Grasso è impegnato all’estero) e la mattinata si è conclusa senza che fosse votato un solo emendamento. Mentre alla Camera, qualche ora dopo, si registravano altri momenti di tensione sul decreto salva Roma, tra M5S e Pd, per il numero legale che è venuto a mancare (a Montecitorio non accadeva dal 2007) con 104 assenze solo sui banchi della maggioranza, prima dell’approvazione finale a tarda sera.
Per il ddl sul voto di scambio tutto rinviato a martedì 15, dopo una mattinata di autentica bagarre con urla, strepiti, minacce, saluti fascisti, insulti tra senatori inviati per sms. A scaldare gli animi ci si è messo poi anche il sanguigno campano Giuseppe D’Anna, del gruppo fiancheggiatore di Forza Italia denominato Gal, che ha raccolto una per una le provocazioni del M5S («Siete degli squadristi», li ha incalzati) e infine ha addirittura reagito avanzando nell’emiciclo col braccio alzato del saluto romano e spargendo epiteti tipo «guarda lo str… che sei». Così, alla fine, lo spettacolo desolante visto al Senato ha causato uno stop di almeno sei giorni. E a nulla è servito l’appello del capogruppo del Pd, Luigi Zanda, che ha speso l’argomento tempo. Non secondario in questa vicenda: «Ogni rinvio di questa legge favorisce chi non vuole che la nuova norma entri in vigore prima delle Europee».
In prima lettura, il testo di questa tormentata legge fu licenziato all’unanimità dalla Camera; in seconda battuta, il Senato ha inasprito la norma (contraria Forza Italia, astenuto il Ncd) provocando però la reazione inaspettata dei pm antimafia e dell’Anm che, forse, hanno visto in quel 416 ter disegnato a Palazzo Madama «una gabbia troppo stretta» per il concorso esterno di stampo mafioso; così, in terza lettura la Camera (con i voti della maggioranza e di Forza Italia e l’opposizione del M5S) ha di nuovo alleggerito la norma, abbassando le pene per i politici a 4/10 anni come d’altronde avevano suggerito le commissioni Fiandaca e Garofoli per evitare che fossero uguali a quelle previste per i mafiosi colpiti dal 416 bis (7/12 anni).
Per il senatore Mario Giarrusso (M5S), questo è il più grande regalo alla mafia anche perché «l’infiltrazione delle cosche al Nord si serve di un solo mezzo: la politica». Anche per il senatore Felice Casson (Pd), che si è astenuto in commissione, «il testo della Camera è un compromesso al ribasso». Il sottosegretario Cosimo Ferri (Giustizia), non condivide: «La norma attuale, non efficace, è stata applicata 2 volte nel 2010, 6 nel 2011, 12 nel 2012. Noi ora la rendiamo applicabile». Donatella Ferranti (Pd),ricorda ai grillini che è la pena massima (10 anni) a determinare l’obbligo di arresto e che «il nuovo testo è stato giudicato ottimo dal procuratore nazionale antimafia».
Dino Martirano


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