Crisi ucraina, nucleare e ascesa delle multinazionali Usa

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Lo scorso 11 aprile, in piena crisi, la Westin­ghouse e l’ucraina Ener­goa­tom (società di Stato che for­ni­sce l’energia elet­trica al paese) hanno fir­mato un accordo che pre­vede di esten­dere fino al 2020 (in pro­spet­tiva per tutte le 15 cen­trali nucleari esi­stenti) la for­ni­tura di com­bu­sti­bile nucleare da parte della società ame­ri­cana, invece che dalla russa Tvel-Rosatom (pro­get­ti­sta degli impianti).

La que­stione, al di là delle con­se­guenze politico-commerciali che implica que­sto capo­vol­gi­mento di fronte, avrà delle riper­cus­sioni sul fun­zio­na­mento dei reat­tori ucraini (tutti Vver, la variante russa dei reat­tori ad acqua in pres­sione) per­ché il com­bu­sti­bile fab­bri­cato nello sta­bi­li­mento Westin­ghouse di Vaste­ras (Sve­zia) potrebbe non avere le stesse pre­sta­zioni (in ter­mini di sicu­rezza) di quello fab­bri­cato in Rus­sia. Le dif­fe­renze sostan­ziali riguar­dano sia la con­fi­gu­ra­zione delle pasti­glie di ura­nio (quelle russe di ultima gene­ra­zione hanno un foro cen­trale), sia la com­po­si­zione della lega metal­lica con cui è fab­bri­cata la guaina che le con­tiene. Non a caso la società elet­trica Cez (repub­blica Ceca) dopo aver testato una decina di anni fa il com­bu­sti­bile Westhin­ghouse nel reat­tore di Temel­lin, è tor­nata ad approv­vi­gio­narsi da Tvel.

Su un altro ver­sante c’è da regi­strare la sca­lata della Gene­ral Elec­tric alla fran­cese Alstom, ope­ra­zione che minac­cia il futuro dell’industria nucleare fran­cese e, con­se­guen­te­mente, dell’intera eco­no­mia del paese, data la rile­vanza asse­gnata a que­sto set­tore da tutti i governi suc­ce­du­tesi in Fran­cia dal dopo­guerra ad oggi. Infatti con que­sta acqui­si­zione la Ge eli­mina un con­cor­rente diretto nel set­tore elet­tro­mec­ca­nico dell’energia, ma pone anche un’ipoteca sul futuro di Areva (progettista-costruttore dei reat­tori fran­cesi) in quanto gli sot­trae il mag­gior part­ner tecnico-industriale (Alstom) a cui Areva affi­dava la rea­liz­za­zione di tutta la parte con­ven­zio­nale delle cen­trali nucleari.

Gli effetti desta­bi­liz­zanti della situa­zione in Ucraina stanno avendo le prime riper­cus­sioni anche sull’assetto ener­ge­tico euro­peo a van­tag­gio delle mul­ti­na­zio­nali Usa ed è dif­fi­cile pre­ve­dere quale paese euro­peo ne uscirà indenne. Cer­ta­mente non la Fran­cia, inges­sata nella «mono­cul­tura» nucleare che sconta per di più le man­cate alleanze con part­ner stra­te­gici (la Sie­mens è uscita dal pro­getto Epr), cosa che invece hanno fatto Westin­ghouse e Ge allean­dosi rispet­ti­va­mente con Toshiba e Hita­chi. In que­sto con­te­sto è quasi scon­tato che Hol­lande approvi il pro­lun­ga­mento della vita ope­ra­tiva a 50–60 anni dei reat­tori fran­cesi, 27 dei quali sono in fun­zione da 30 anni, come richie­sto da Edf.

Ciò avrà rischi incal­co­la­bili per la sicu­rezza della popo­la­zione dato che gli stress test ese­guiti dopo Fuku­shima non sono altro che simu­la­zioni pro­ba­bi­li­sti­che che non pos­sono valu­tare appieno l’effetto com­ples­sivo dell’invecchiamento degli impianti e dell’irraggiamento sui mate­riali. Ce n’è di mate­ria di cui occu­parsi per i movi­menti anta­go­ni­sti e per chi, can­di­dan­dosi al par­la­mento euro­peo, voglia rimet­tere in discus­sione il ruolo dell’Europa e della sua ine­si­stente poli­tica energetica.



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