Brody, il terrore dei dittatori “Così ho incastrato i tiranni del mondo”
COME si diventa cacciatore di tiranni? Reed Brody, 60 anni, consulente e portavoce di Human Rights Watch, lo sa bene: ha trascorso un trentennio a inchiodare alla sbarra dittatori sulfurei come il cileno Augusto Pinochet, l’haitiano “Baby Doc” Duvalier, il chadiano Hissène Habré e pletore di aguzzini responsabili di atrocità dall’America Latina all’Africa all’Asia. Per conquistare gli “scalpi” — dice — servono una volontà tetragona, corvée snervanti di ricerche e di viaggi, e, soprattutto, «la profonda convinzione che anche un semplice cittadino possa cambiare il mondo».
Brody sorride soddisfatto mentre è al telefono da New York e si prepara a volare a Dakar dove l’aspetta il processo a Habré, “il Pinochet d’Africa”, per i crimini compiuti in Ciad.
Soddisfatto della nuova vittoria, avvocato Brody?
«Può scommetterci. Abbiamo impiegato quindici anni a costruire l’accusa, convincere l’Unione africana a istituire una Corte speciale, emarginare i giudici corrotti dai soldi di Habré sottratti al Tesoro del Ciad. Finalmente il Senegal, dove lui s’è rifugiato, ha capitolato. Però, ho avuto un’immensa fortuna».
Quale?
«In Ciad, mentre aiutavo le vittime a raccogliere le prove, sono letteralmente incappato in cumuli di documenti: l’intero archivio della polizia politica. Nel quartier generale abbandonato, ho trovato migliaia di carte sparse fra calcinacci e ossa spolpate di polli, con la prova delle incarcerazioni, gli assassinii. Il Pinochet africano aveva portato con sé il tesoro nazionale ma non aveva badato a distruggere le prove dei suoi crimini».
Quella “pesca miracolosa” l’ha riportato ai giorni dell’arresto a Londra di Pinochet, nel ‘98?
«Era la prima volta che scendevamo in campo, con Human Rights Watch, come parte in causa al fianco delle vittime. Pinochet pretendeva l’immunità. Noi abbiamo ottenuto la conferma dell’arresto e l’estradizione. Quel giorno è suonata la sveglia per i dittatori, non più immuni dalla giustizia, ma si sono svegliate anche le vittime».
Cos’è successo?
«Mi sono piovute richieste da mezzo mondo: dall’Etiopia, dall’Uganda, dal Ciad. Mi chiedevano: e Suharto? Idi Amin? Sarebbe bello sottoporre tutti i despoti alla giustizia, ma a volte bisogna sfidare i poteri forti, e non sempre si riesce. Idi Amin era protetto dall’Arabia Saudita, come oggi l’America protegge sé stessa e Israele, la Russia protegge la Siria, e la Cina la Corea del Nord».
Eppure lei ha sfidato il presidente Reagan, nella faccenda dei contras in Nicaragua. Come andò?
«Avevo 30 anni, ero viceprocuratore dello Stato di New York. Un amico m’invitò in Nicaragua. In giro per le montagne con un missionario, tanta povera gente mi raccontava le atrocità dei contras: i roghi, gli omicidi, le torture. “Devi farlo sapere in America”, imploravano».
E lei cosa ha fatto?
«Mi sono dimesso dalla procura, ho attraversato il Nicaragua in lungo e in largo sul retro di un camioncino pick-up, e raccolto testimonianze di centinaia di vittime. Fu un altro colpo di fortuna: il mio resoconto finì in prima sul New York Times. Reagan fu costretto a sospendere i fondi ai contras ».
Qual è oggi la sua più grande sfida?
«La Siria, l’inferno in cui sta precipitando. Abbiamo fatto un lavoro capillare, individuato i responsabili delle atrocità, i centri di tortura. Ma più continuiamo e più emergono atrocità anche dei ribelli, e questo rende più ambigua la situazione sotto il profilo morale, indebolisce la volontà politica d’intervenire da parte della comunità internazionale».
E il suo maggiore rimpianto?
«Non essere riuscito a fare incriminare l’ex presidente americano George W. Bush per avere ordinato il ricorso alla tortura, per gli abusi ad Abu Ghreib, per Guantanamo. Abbiamo depositato la richiesta in America e all’estero. Il fatto è che gli Stati Uniti si sono resi immuni alla Corte di giustizia internazionale, infatti non hanno ratificato il Trattato di Roma, ed esercitano il veto al Consiglio di sicurezza dell’On».
Chi sono i suoi peggiori nemici?
«I poteri politici, che fanno scudo ai propri protetti. I veri eroi, invece, sono le vittime che traggono forza dalle proprie sofferenze e l’investono nella ricerca della giustizia. È la loro determinazione a portare i tiranni alla sbarra».
Related Articles
In pensione a 67 anni dal 2019: protestano i sindacati
Previdenza. L’Istat certifica i 5 mesi di innalzamento dell’aspettativa di vita. Tutti i partiti contrari. Si muove il fronte bipartisan in Parlamento. Camusso: folli
Ucciso il numero 2 dell’Isis: perché l’organizzazione non ne risentirà
Haji Mutazz era vice di al-Baghdadi, responsabile delle operazioni in Iraq, nonché “ragioniere” dell’organizzazione. Ma la struttura piramidale del califfato è volta alla sostituzione di ogni leader: solo il “califfo” è indispensabile
Finmeccanica cade in Borsa dopo il rinvio dei conti Il governo pressa Orsi: non pensi solo ai tagli