Bandar , principe dell’intrigo, va in pensione

by redazione | 17 Aprile 2014 9:11

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Bandar bin Sul­tan va in pen­sione, l’uomo delle ope­ra­zioni segrete più spor­che, il fau­tore dell’intervento mas­sic­cio dell’Arabia sau­dita nella guerra civile siriana, l’amico della fami­glia Bush che ha pesan­te­mente cri­ti­cato la poli­tica dell’Amministrazione Obama verso Teh­ran e Dama­sco, è uscito di scena mar­tedì — «eso­ne­rato su sua richie­sta con un decreto reale», ha comu­ni­cato l’agenzia sta­tale Spa — e sosti­tuito dal gene­rale You­sef Al-Idrissi. Sta­volta non c’è una prova d’appello per il prin­cipe, già rima­sto in disparte per anni dopo gli attac­chi alle Torri Gemelle e poi messo, nel luglio 2012, a capo dell’intelligence sau­dita con l’incarico di rove­sciare Bashar Assad. Uffi­cial­mente all’estero per motivi di salute, Bandar bin Sul­tan è vit­tima della lotta tra le varie fazioni ai ver­tici della fami­glia reale e soprat­tutto di errori com­messi nella gestione a dir poco spre­giu­di­cata del “file” siriano.

Il decreto dell’anziano e amma­lato re Abdal­lah indica che la fazione del prin­cipe Sul­tan ora è ai mar­gini del potere. La svolta è stata la nomina del suo rivale, Muq­rin bin Abdul Aziz, a vice prin­cipe ere­di­ta­rio. Ban­dar che nel 2012 aveva sbef­feg­giato Muq­rin dopo aver­gli preso l’incarico di capo dell’intelligence – di fatto la terza carica più impor­tante dopo quella di re e prin­cipe ere­di­ta­rio in un paese stretto alleato di Washing­ton e invi­schiato in ope­ra­zioni segrete a danno di altri Stati della regione – ora paga il conto della sua infi­nita arro­ganza e sete di potere. Oltre a Ban­dar, di recente anche altri discen­denti dello scom­parso prin­cipe Sul­tan sono stati messi in disparte. Kha­led bin Sul­tan è stato sol­le­vato dal suo inca­rico di vice-ministro della difesa men­tre l’ambizioso Sal­man bin Sul­tan è stato for­te­mente ridimensionato.

I passi falsi prin­ci­pali com­piuti da Sal­man riguar­dano però la Siria. Ex amba­scia­tore (per decenni) negli Stati Uniti, senza scru­poli, abi­tuato ad usare nemici e amici per fare gli inte­ressi sau­diti e dif­fon­dere il waha­bi­smo sun­nita più radi­cale, l’ex capo dell’intelligence ha inve­stito tempo e fondi ingenti per rior­ga­niz­zare le prin­ci­pali for­ma­zioni isla­mi­ste del fronte anti-Bashar Assad. A lui si deve la nascita alla fine della scorsa estate del “Fronte Isla­mico” che rac­chiude le prin­ci­pali mili­zie isla­mi­ste siriane. Una potente coa­li­zione di forze che non appog­gia il jihad glo­bale ma che è ugual­mente molto vicina all’ideologia di al Qaeda (la “filiale” siriana di al Qaeda resta il “Fronte an Nusra”, per scelta di Ayman al Zawahry che ha scon­fes­sato lo “Stato Isla­mico in Iraq e nel Levante”). In que­sto modo Ban­dar è riu­scito a ridi­men­sio­nare il ruolo dei Fra­telli Musul­mani e dell’Esercito libero siriano (Els), soste­nuti dal rivale Qatar, met­tendo in mani sau­dite il volante della guerra con­tro Damasco.

Ha però messo in allarme Washing­ton con­tra­ria, almeno a parole, a finan­ziare ed armare i qae­di­sti. Non solo. L’Amministrazione Usa ha accolto con rab­bia le accuse duris­sime rivolte dal prin­cipe Ban­dar a Barack Obama dopo la deci­sione presa dal pre­si­dente ame­ri­cano di non attac­care mili­tar­mente l’Iran e la Siria e di cer­care di tro­vare un com­pro­messo poli­tico con la cosid­detta “Mez­za­luna sciita” che tanto spa­venta la casa reale sau­dita e altre petro­mo­nar­chie del Golfo. Nelle solu­zioni diplo­ma­ti­che volte a sanare i con­tra­sti emersi negli ultimi mesi tra Stati Uniti e Ara­bia sau­dita, è per­ciò rien­trata anche la testa di Ban­dar bin Sul­tan. Lo si era già capito lo scorso feb­braio quando Riyadh ha ordi­nato il rien­tro imme­diato nel paese dei jiha­di­sti sau­diti che erano andati a com­bat­tere in Siria, nel qua­dro dei dise­gni stra­te­gici di Ban­dar. Poi sono arri­vate le “cure all’estero” per una miste­riosa malat­tia. Quindi le voci di una rimo­zione già avve­nuta ma non ancora comu­ni­cata. Infine l’esonero e l’uscita di scena. E sta­volta per il prin­cipe dell’intrigo tor­nare in sella sarà impossibile.

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