Animal power

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PARIGI IL pacifista illuminato Gandhi l’aveva previsto: ”Si può giudicare la grandezza di una nazione dal modo in cui vengono trattati gli animali ”. Era più di mezzo secolo fa. Da allora, il cambiamento culturale e sociale è già avvenuto, almeno negli occhi di tanti padroncini che vezzeggiano cani, gatti e altre bestiole come compagni di vita con pari dignità delle persone. Ma forse neanche Gandhi poteva immaginare che un ristoratore di Campi Bisenzio sarebbe stato condannato per “maltrattamento” di aragoste e granchi: i crostacei erano posati vivi sul ghiaccio con le chele legate. Due giorni fa, il tribunale di Firenze ha dato ragione alla Lega antivisezione, che aveva sporto denuncia. I magistrati toscani hanno sentenziato che le aragoste sono state costrette in uno “stato di malessere e stress”.
Farà sorridere alcuni, ma dagli Stati Uniti all’Europa, è una rivoluzione giuridica in corso. La Francia ha approvato ieri un emendamento per dare agli animali lo statuto di “esseri viventi dotati di sensibilità” e non più di res, “cose”
come previsto finora dal codice civile, rimasto fermo ai tempi di Napoleone. Per secoli, gli animali sono stati definiti “beni mobili”, paragonati a una sedia o a un divano. La modifica votata dall’Assemblée Nationale è una vittoria degli intellettuali che hanno lanciato
nell’ottobre scorso una petizione firmata da oltre 250mila persone, ricevendo l’appoggio, tra gli altri, dei filosofi Alain Finkielkraut, Edgar Morin, Michel Onfray. «Anche se gli animali non sono degli esseri umani — ricordano i firmatari — dividono con noi alcuni attributi, come la capacità di risentire piacere e dolore». Questo vale certamente, aggiungono, almeno per tutti i vertebrati.
La prima “grande nazione”, riprendendo le parole di Gandhi, a trasformare lo statuto giuridico degli animali è stata la Svizzera, nel 1992.
Dieci anni dopo, il parlamento tedesco ha deciso di aggiungere nella Costituzione l’obbligo di rispettare la dignità degli uomini “e degli animali” che sono definiti come “senzienti” all’articolo 13 del Trattato di Lisbona. Anche in Italia il dibattito è aperto. Un gruppo parlamentare bipartisan ha presentato cinque mesi fa una proposta di modifica alla Costituzione, per aggiungere nell’articolo 9 la frase: «Gli animali sono esseri senzienti e la Repubblica ne promuove e garantisce la vita, la salute e un’esistenza compatibile con le proprie caratteristiche etologiche». La proposta non è stata ancora esaminata ma la giurisprudenza si muove già in questa direzione. A marzo 2013, la Cassazione ha affermato il principio per cui l’animale non può più far parte delle “cose” ma deve essere riconosciuto come “essere senziente”, cioè soggetto non umano capace di avere sensazioni e esperienze, così come stabilito ieri a Parigi.
I francesi, che detengono il record europeo di animali domestici (61 milioni, quasi altrettanti rispetto alla popolazione), sono particolarmente sensibili alla causa: secondo i sondaggi, l’89% dei cittadini era favorevole all’emendamento per riconoscere gli “esseri viventi dotati di sensibilità”. La separazione tra persone e cose discende, in Francia come in Italia, dall’antico diritto romano. Già Nicolas Sarkozy aveva proposto una riforma del codice civile ma si era fermato a causa della protesta di allevatori e cacciatori. La maggiore tutela giuridica degli animali, ora diventata legge, potrebbe infatti avere conseguenze non solo sul maltrattamento di animali domestici, ma produrre cambiamenti nelle abitudini dell’agricoltura e della ricerca scientifica.
La nuova legge francese stabilisce anche a chi spetta l’affidamento dell’animale domestico in caso di divorzio. Se avuto prima delle nozze andrà a chi lo ha acquistato, mentre la situazione si complica quando l’animale è arrivato in famiglia dopo il matrimonio e la coppia è in regime di separazione dei beni. In quel caso la decisione spetterà al giudice, che potrebbe anche stabilire l’affidamento alternato. Una libertà di interpretazione che comincia a farsi strada anche nei tribunali italiani, dove ci sono sempre più conflitti legali per ottenere la custodia degli amati cani o gatti.
La Francia, come altri paesi, ha introdotto nel 1994 un reato di “tortura e sevizia sugli animali” nel codice penale, senza mai riconoscere un vero e proprio “diritto”. Qualche mese fa, il video su YouTube di un gatto più volte defenestrato a Marsiglia ha fatto scalpore.
Il felino è miracolosamente sopravvissuto, ma dopo una mobilitazione popolare, l’autore del video è stato identificato e condannato a un anno di prigione. Forse non è un caso che nella patria della dichiarazione universale dei diritti umani, ci sia adesso un movimento animalista così agguerrito. L’attrice Brigitte
Bardot ha fondato un’associazione che si batte da anni per difendere esseri viventi che secondo lei sono “come e più degli uomini”. Il portavoce della fondazione di Bardot, Christophe Marie, ha criticato l’emendamento al codice civile. «È uno scandalo che non sia stato fatto prima — dice — e comunque bisogna fare una legge più ambiziosa che permetta di fermare lo sfruttamento, in ogni sua forma».
Il movimento animalista si fa forte di studi di bioetica e biodiritto che riconoscono pari dignità a quelle che è sempre più difficile azzardato semplicemente “bestie”. “Il giorno in cui si capirà che un pensiero senza linguaggio esiste presso gli animali, moriremo di vergogna per averli chiusi negli zoo e umiliati” scrive l’etologo e neuropsichiatra Boris Cyrulnik nel libro “Anche gli animali hanno diritti”, scritto con Élisabeth de Fontenay e Peter Singer, due intellettuali che da tempo riflettono sul tema. “Il silenzio delle Bestie” pubblicato da De Fontenay nel 1993 è ancora oggi considerato un punto di riferimento per chi milita per i diritti degli animali. L’australiano Singer è l’autore del famoso “La liberazione animale”, uscito nel lontano 1975, in cui denuncia lo “specismo” che, come razzismo e sessismo, discriminerebbe ingiustamente la specie animale rispetto a quella degli esseri umani. L’ultima polemica è scoppiata la settimana scorsa durante la riapertura del bioparco di Parigi, uno dei più grandi d’Europa con 179 specie protette. Il presidente della Fondazione per i diritti animali, Jean-Claude Nouët, è insorto: «È l’ennesimo parco di divertimenti che sfrutta animali in cattività, maltrattandoli ». Nonostante lo zoo di Vincennes abbia dato più spazio e libertà a leoni e scimmie, che possono scorrazzare in biozone, per molti non è sufficiente. Il simbolo dello zoo parigino è Adeline, una giraffa alta cinque metri, che guida il branco, adora mangiare cocomero e ora ha anche un profilo Twitter. Ovviamente è già diventata una star.



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