Aldrovandi Il ragazzo che non doveva morire
Sopravvivere al proprio figlio è un dolore indicibile, sopravvivere al proprio figlio ammazzato toglie il fiato; sopravvivere al proprio figlio mentre il mondo costruisce un’immagine deformata di lui e fa il vuoto intorno a te è impresa impossibile. Ma accade. È successo a Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, che oggi lo racconta in uno struggente libro, scritto con Francesca Avon : Una sola stella nel firmamento. Io e mio figlio Federico Aldrovandi (Il saggiatore, pp. 184, euro 14,50). «Io e mio figlio», perché questa è una pagina della storia italiana che narra di un paese dove capita di morire ammazzato da chi dovrebbe tutelarti e difenderti. Patrizia Moretti sente di dover riconsegnare a suo figlio la dignità di una memoria veritiera, perché anche di questo è fatta la giustizia. Sa di dover ricomporre l’immagine infangata del figlio, quella del balordo che se l’è cercata. Si sente come la mamma scoiattolo della favola, che uscita a cercare cibo al ritorno trova la casa distrutta dall’oceano e cerca disperatamente i suoi figli. Così anche lei lotta contro l’oceano infinito.
Tutto comincia la mattina del 25 settembre 2005 a Ferrara. Federico ha 18 anni, torna a casa da una serata con gli amici a Bologna, ha scelto di fare l’ultima parte di strada a piedi. Morirà in via Ippodromo. Il suo decesso viene constatato alle 6.16. Patrizia Moretti ci riconsegna i pezzi di un puzzle che faticosamente negli anni ha cominciato a comporsi, ma all’epoca lei dovette aspettare le 11 per apprendere che il figlio era morto. Eppure da tre ore lei e il marito stavano tempestando di telefonate Questura e ospedali per avere notizie del loro ragazzo. In quelle tre ore, il suo corpo era rimasto a terra in via Ippodromo. Per la polizia Federico è morto per overdose ma lo zio, infermiere all’obitorio, ha visto il corpo del nipote ricoperto di ferite e «tutto storto». Una famiglia sconvolta e stordita dal dolore si ritrova in quei giorni sola di fronte alle autorità di polizia e alla stampa locale che raccontano di Federico morto per un malore. Il questore convoca i genitori per spiegare che Federico è morto da solo e prova a scoraggiarli dal nominare un avvocato.
Soli, a parte qualche amico, mentre la città si convince della versione offerta dalla polizia, aspettano i risultati della perizia tossicologica. Ci metteranno tre mesi ad arrivare. Nel sangue troveranno quantità insignificanti di sostanze: nulla che possa avallare la versione di un ragazzo in preda a una crisi d’abuso. Forze di polizia e autorità inquirenti collaborano a costruire una narrazione che non le compromettano. Nessuna redazione locale in quei giorni pubblica la foto di Federico massacrato. Eccolo l’oceano da sfidare. Non è la forza della natura come nella favola del castoro ma la violenza e l’omertà degli uomini.
A Natale, il primo senza Federico, Patrizia decide di raccontare in rete chi era suo figlio. Il 2 gennaio 2006 nasce il blog dedicato a Federico Aldrovandi. Arrivano migliaia di commenti. Liberazione e il manifesto iniziano a parlarne. Poi Repubblica e il Corriere, e Chi l’ha visto. Titti De Simone, allora parlamentare di Rifondazione, interroga il ministro Giovanardi che ammette l’uso violento dei manganelli, rotti a furia di percuotere, ma parla, come continuerà a ripetere, di un ragazzo eroinomane.
Il libro ripercorre le tappe dell’impegno di Patrizia, del padre Lino, del fratello Stefano per avere giustizia e ristabilire la verità; i concerti organizzati con gli amici di Federico, le canzoni a lui dedicate. Gli alleati più vari, come i tifosi della Spal e poi altre tifoserie. Infine quattro agenti vengono iscritti nel registro degli indagati, il questore viene trasferito e una donna di origini camerunensi dice quello che aveva visto e sentito la mattina in cui Federico fu ucciso.
Arriva il processo e la sofferenza dei racconti. La sentenza. Colpevoli. «È giusto che ci sia una condanna non sono neppure riuscita a sentire di quanti anni ma non è così importante». Anche se un pezzo continua a mancare, quei tre quarti d’ora da quando Federico ha lasciato gli amici a quando Annamaria Tsagueu l’ha visto. E quei poliziotti sono ancora poliziotti, pur essendo colpevoli. E ci sono anche degli irriducibili, come i poliziotti del Coisp che hanno manifestato sotto le finestre del Comune di Ferrara, dove lavora Patrizia, o il senatore Giovanardi che ancora contesta che la macchia sotto la testa di Federico sia sangue.
Il libro è anche la storia di Patrizia, del suo dolore privato e della sua presa di parola pubblica. Per reagire ha dovuto imbrigliare il furore che si porta dentro. Ma di Federico ha saputo ricomporre la memoria e l’immagine che lei stessa ha scelto, la foto che tutti conosciamo, uno sguardo che è «un rimprovero muto» di quel ragazzo che, nato prematuro, un giorno strappò il tubicino che lo aiutava a respirare per il desiderio di cominciare a vivere. La stessa della copertina del libro, Federico bellissimo che ti guarda negli occhi.
Related Articles
Sànchez verso il secondo «no»
Spagna. Il candidato socialista non otterrà l’investitura al palazzo della Moncloa neppure oggi. Il «patto di governo» aperto alle altre forze, si è dimostrato tatticamente poco lungimirante
Voli d’uccello e occhi di talpa, vedute urbane in divenire
Per quanto imperfette, le rappresentazioni di città del XV secolo rispecchiano l’evolversi del paesaggio europeo
Israele, approvata la nuova legge antiterrorismo
Israele . Le forze di sicurezza e i servizi segreti avranno poteri eccezionali. Inasprite le pene su pressione della ministra della giustizia Ayelet Shaked. Il reato di terrorismo è sempre più ampio