by redazione | 6 Marzo 2014 11:09
DINAMICHE forti attraversano il sistema politico italiano, e lo stanno cambiando profondamente. Ma, se pure questo processo è stato accelerato dalle iniziative di Renzi, per comprenderlo bisogna andare oltre la stretta attualità, gettare lo sguardo sull’intera fase che abbiamo alle spalle.
Altrimenti si rimane prigionieri di formule ingannevoli — «Aspettiamo Renzi alla prova dei fatti», «Se fallisce, è la fine» — che rivelano non tanto una deriva personalistica, quanto piuttosto una sfiducia nella possibilità stessa di condurre analisi politiche. E invece proprio dalla politica bisogna ripartire, registrando che siamo alla fine di un ciclo che si è dipanato attraverso l’emergenza montiana, le larghe intese e le piccole intese, senza offrire né soluzioni a breve né prospettive, sì che Renzi finisce con l’apparire come una sorta di curatore fallimentare. Il suo obiettivo è visibilmente quello di strutturare il sistema politico intorno a due poli, non due partiti, e proprio qui scatta l’impossibilità di liberarsi con una mossa tutta volontaristica dell’eredità del passato. “Padrone”, almeno nelle apparenze, di un partito che aveva conquistato senza combattere, Renzi ha poi rivolto lo sguardo dall’altra parte e, muovendo da una sottovalutazione del suo partner di governo, il Nuovo Centro Destra, si è lanciato verso la rilegittimazione di Berlusconi, impigliandosi però nei prevedibili conflitti determinati dall’affidarsi all’astuzia della “doppia maggioranza”.
Ora la nuova “intesa” intorno alla legge elettorale mostra come egli non debba solo fare i conti con i fallimenti del passato, ma pure con l’esito infelice del suo stesso azzardo. Indicata come un passaggio necessario per un chiarimento del quadro politico, la nuova fase della riforma elettorale produce, al contrario, una inquietante confusione istituzionale, destinata a sfociare in conflitti (ricatti?) incrociati, rendendo più soggetta a condizionamenti l’azione di governo e più esposta la nuova soluzione a chiari vizi di incostituzionalità. Frutto evidente di pure strumentalità partitiche, dissolve la logica, già precaria, della doppia maggioranza, spinge tanto Berlusconi quanto Alfano a perseguire le proprie convenienze, a rafforzare la propria identità, aprendo la via a conflitti inevitabilmente destinati ad influire su tempi e scelte del governo. L’apertura a Berlusconi era stata, nei fatti, una evidente sfida ad Alfano, così come la precedente apertura su lavoro e diritti civili lo era stata nei confronti di Letta. Cambiati i ruoli, mutato Renzi da sostanziale sfidante ad alleato obbligato di Alfano, quale sarà in concreto la linea della maggioranza ora rinsaldata?
Bisogna tornare, a questo punto, alla questione dei due poli, in vista dei quali è stata confezionata la nuova legge elettorale, con chiusure conservatrici a favore di chi già è insediato all’interno del sistema, introducendo così una ulteriore rigidità di cui, prigionieri di una poco riflessiva furia “riformatrice”, non sembra siano stati adeguatamente valutati tutti gli effetti. Sul versante berlusconiano, è evidente l’intenzione di costruire una coalizione nella quale sarà obbligato ad entrare tutto il pulviscolo dei gruppi e gruppetti che si agitano a destra in questo momento per dare l’impressione di una autonomia del tutto finta, poiché sanno benissimo che la nuova legge elettorale, quali che siano le soglie fissate, precluderà loro ogni possibilità di accesso al Parlamento. Si creano così le premesse per negoziati opachi, per contropartite d’ogni genere, mantenendo le condizioni che hanno in passato inquinato il nostro sistema politico e anticipando alla fase preelettorale il potere dei gruppi marginali, ma indispensabili per assicurare il successo della coalizione. Inoltre, l’alta soglia dell’8%, imposta alle liste autonome, diventa un potente disincentivo per avventure solitarie del Nuovo Centro Destra.
Diversa si presenta la situazione nel centrosinistra, dove Renzi sembra aver ripreso la logica della “vocazione maggioritaria” e, fidando sul proprio appeal, non manifesta aperture verso le diverse realtà esistenti, mostrandosi piuttosto interessato al recupero di una parte dell’elettorato del Movimento 5Stelle (strategia peraltro analoga a quella di Silvio Berlusconi). Peraltro, la sua sbrigativa rilettura di quel che oggi sarebbe la sinistra, unita ai quotidiani slittamenti ai quali lo obbliga la convivenza con gli alfaniani, ha creato condizioni propizie all’apertura di un processo che oggi, sia pure in forme ancora da chiarire, vede coinvolti Sel e il gruppo di Pippo Civati, la lista Tsipras e i parlamentari (e non solo) che si allontanano dal Movimento 5Stelle.
Sono realtà diverse, ciascuna delle quali meriterebbe una analisi specifica, ma di cui qui può essere indicato quello che appare un possibile terreno comune. Civati, con quella che non è soltanto una battuta, ha parlato di Nuovo Centro Sinistra, ponendo così un problema: è possibile un processo, tutt’altro che semplice e breve, che abbia come primo obiettivo quello di liberare il Pd dal legame pericoloso con il Nuovo Centro Destra e, in prospettiva, consenta di lavorare intorno ad una ipotesi di sinistra nuova e non velleitaria? Di questo si dovrebbe tener conto, senza rifugiarsi nelle troppo comode obiezioni “realistiche” che, negli ultimi tempi, hanno privato il centrosinistra di ogni capacità di creare le condizioni pur minime per non essere sempre succube di stati di necessità, veri o costruiti. La politica è anche, talora soprattutto, capacità di assumersi rischi, senza la quale nessuna vera innovazione è possibile. Forse è qui che il proclamato “coraggio” di Renzi dovrebbe esercitarsi pure in questa direzione. E si potrebbe anche cominciare a ragionare fuori da un’altra pesante ambiguità, l’indicazione della durata del governo fino al 2018, che sembra un artificio per tener buono Alfano. Qualora al Senato si creassero le condizioni per liberarsi da questa ingombrante tutela, si potrebbe ragionevolmente discutere di un programma limitato e di un ritorno alle urne secondo una logica politica, e non puramente strumentale, anche se ora contro questa possibilità si leva il pasticcio dell’eventuale elezione differenziata di Camera e Senato.
Ripeto. È un processo non facile, che tuttavia può permettere di avviare un cammino che faccia uscire dal deserto politico nel quale continuiamo ad aggirarci. In questa prospettiva si presenta come assai impegnativa l’iniziativa della lista Tsipras perché, in particolare, la partecipazione alle elezioni europee significherà sottoporsi ad un vero confronto pubblico. È una impresa rischiosa e, proprio per questo, vorrebbe dai suoi promotori un rigore estremo. Dal passato vengono esempi che ammoniscono sul rischio legato a logiche autoreferenziali (il fallimento nelle ultime due elezioni politiche dalla Sinistra arcobaleno e della lista Ingroia). Dal presente viene l’obbligo a riflettere su che cosa significhi, al di là del fatto simbolico, il riferimento a Tsipras e al suo partito, Syriza. Si tratta di una esperienza maturata attraverso un lavoro politico non breve e che si è consolidato grazie ad una intensa presenza sociale. Condizioni, queste, che non trovano corrispondenza nella lista italiana e nella variegata coalizione che la sostiene, che peraltro non ha dato una esaltante prova di sé proprio nella scelta delle candidature, come attestano le cronache di ieri. Per tutti quelli che vogliano andare oltre la semplice critica al governo Renzi, si apre una stagione assai impegnativa. Ma proprio con queste difficoltà bisognerà misurarsi.
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