Il trionfo in Serbia per i conservatori: avanti verso l’Europa

by redazione | 17 Marzo 2014 10:25

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BELGRADO — Con quasi il 50% dei voti, vincono i conservatori, in Serbia, e il 44enne Aleksander Vucic, leader del Partito Progressista, ex nazionalista ora filo-europeista, potrà governare praticamente senza alleati con 157 deputati su 250: «Non dovrò più lottare per i voti, ma per le generazioni future», ha commentato a caldo, citando l’ex leader italiano Alcide de Gasperi. Una percentuale così alta non si vedeva dai tempi del regime di Slobodan Milosevic, nel 1990, come ha ricordato il numero due del partito, Nebojs Stefanovic, capo del parlamento a soli 37 anni. «Il miglior risultato dall’inizio della democrazia parlamentare», si è inorgoglito Vucic, dichiarandosi pronto al dialogo con gli sconfitti.
A grande distanza, con il 14% delle preferenze, si sono classificati i socialisti dell’ex premier Ivica Dacic. E superano di misura lo sbarramento del 5% Boris Tadic, ex presidente e leader del Nuovo partito democratico, l’ex sindaco di Belgrado, Dragan Djilas, dei Democratici. Fuori Vojislav Koštunica, presidente serbo tra il 2000 e il 2003. «O Vucic o i tycoon» è stato uno degli slogan del trionfatore, che ha promosso una vasta campagna contro la corruzione e la criminalità organizzata. Campagna di cui hanno fatto le spese, tra gli altri, due ex ministri del DS, il partito democratico, al potere fino a due anni fa, e l’uomo più ricco della Serbia, Miroslav Miskovic, arrestato alla fine dello scorso anno. «La Serbia continuerà il percorso europeo, collaborando con tutti gli altri Paesi amici, come la Russia, gli Stati Uniti, la Cina e i Paesi arabi», ha annunciato Vucic.
Sotto gli occhi di 556 osservatori serbi e 179 internazionali ha votato il 53% dei 6 milioni e 700 mila elettori.
Non è per niente tranquillo Nikola Barovic, avvocato e difensore dei diritti umani, molto popolare in Serbia da quando, il 16 luglio 1997, fu pestato negli studi di Bk Television , a Belgrado, dalla guardia del corpo di Vojislav Šešelj, leader ultranazionalista del partito radicale serbo, dal febbraio 2003 detenuto all’Aja in attesa del giudizio del Tribunale penale internazionale per crimini di guerra, e tuttavia capolista anche a queste elezioni: «Questo risultato è una catastrofe. Sono preoccupatissimo — dice Barovic — perché la situazione economica è disastrosa e ora è a rischio anche la cultura, oppressa dal neonazionalismo».
Le urgenze della vita quotidiana, con oltre il 22% di disoccupazione, un debito pubblico al 60% del Pil, una burocrazia che grava per 8 miliardi di euro l’anno sul bilancio statale, precedono in Serbia temi cruciali come i rapporti con il Kosovo e la marcia di avvicinamento all’Europa, avviata a gennaio con l’inizio dei negoziati ufficiali. Il Kosovo può ancora procurare grattacapi a Belgrado: «Sul tavolo ci sono la questione delle forze armate e l’arresto di politici serbi», ricorda il politologo Dušan Janjic, riferendosi alla decisione di Pristina di dotarsi di un suo esercito e alla detenzione di Oliver Ivanovic, capo della lista civica filoserba «Serbia, democrazia, giustizia», alle elezioni municipali di Mitrovica, detenuto con l’accusa di essere coinvolto nell’omicidio di dieci albanesi, 14 anni fa sempre a Mitrovica, nel nord del Kosovo. Dove ieri, comunque, circa 30 mila serbi, il 30% degli elettori, sono affluiti regolarmente ai seggi aperti per loro.
Elisabetta Rosaspina

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