Primo test elettorale per Erdogan

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L’Akp, il partito alla guida del paese da 11 anni, tenta di restare in sella nei comuni. Oltre gli scandali, la censura, lo spirito di Gezi park. Occhi puntati su Istanbul, chi vince qui sbaraglia

Domani in Tur­chia si ter­ranno le ele­zioni ammi­ni­stra­tive. Nella per­ce­zione di nume­rosi elet­tori si tratta però di una con­sul­ta­zione che va ben oltre la sem­plice scelta dell’amministrazione del pro­prio comune di resi­denza. Sono le prove gene­rali delle pros­sime ele­zioni poli­ti­che pre­vi­ste nel 2015, un test fon­da­men­tale per l’esecutivo con­ser­va­tore e di ispi­ra­zione isla­mica del Par­tito della giu­sti­zia e dello svi­luppo (Akp), alla guida del paese da oltre 11 anni.
La for­ma­zione poli­tica al governo dal 2002 sta affron­tando il momento più dif­fi­cile della sua sto­ria: la sua para­bola ascen­dente è stata messa a dura prova dalle pro­te­ste di Gezi dell’estate scorsa, dalle ope­ra­zioni anti­cor­ru­zione di dicem­bre e dagli scan­dali delle regi­stra­zioni audio dif­fuse su inter­net negli ultimi mesi da fonti ano­nime (che sareb­bero vicine al movi­mento dell’imam Fehul­lah Gülen) e che rivol­gono al pre­mier e al suo entou­rage gravi accuse tra cui quelle di cor­ru­zione, di inter­fe­renze nel potere giu­di­zia­rio e nelle deci­sioni di alcuni media. Per impe­dire la cir­co­la­zione dei file audio all’origine delle accuse, il governo è arri­vato a chiu­dere Twit­ter e, gio­vedì scorso, anche Youtube.

ÜMIT DELLA PESCHERIA

«Chi vince a Istan­bul ha assi­cu­rato un futuro da lea­der in poli­tica». Parola di Ümit, gio­vane pro­prie­ta­rio di una pesche­ria di Kasim­pasa, quar­tiere di Istan­bul in cui è nato e cre­sciuto il pre­mier Tayyip Erdogan, che dal 1994 al 1998 ne fu anche sin­daco. In effetti, secondo una regola d’oro della poli­tica turca, se si con­qui­sta la città più impor­tante della Tur­chia signi­fica che si è otte­nuto la mag­gio­ranza in tutto il paese.

A Kasim­pasa, uno dei quar­tieri più popo­lari e vivaci del distretto di Beyo­glu, Ümit e la madre gesti­scono la loro atti­vità da otto anni. Ori­gi­nari di Rize, città sul Mar Nero, sono con­ter­ra­nei del pre­mier. Qui, come pure in altre zone della stessa muni­ci­pa­lità, c’è una forte pre­senza di immi­grati pro­ve­nienti da quella regione e la con­ter­ra­neità gioca un ruolo impor­tante nella scelta dei can­di­dati poli­tici. «Noi non appog­giamo nes­suno in maniera incon­di­zio­nata», assi­cu­rano però i due, «siamo sem­pre pronti ad accet­tare le idee migliori. Ciò che di sicuro non vogliamo è un governo di coa­li­zione, alla guida del paese ci deve essere un solo partito».

«Dicono che Erdo­gan è un dit­ta­tore — aggiunge la madre — ma secondo me è una per­sona che non si piega ai ricatti. Un lea­der deve stare dritto, la Tur­chia non deve pie­garsi a nes­suno. A me piac­ciono i lea­der che hanno un carat­tere forte. Se ha ragione deve man­te­nere la sua posi­zione fino alla fine, se invece ha torto deve anche saper chie­dere per­dono. Prima di deci­dere per chi votare ho con­si­de­rato anche il rivale di Erdo­gan, il par­tito repub­bli­cano del popolo (Chp) fon­dato da Ata­türk. Lui ha fatto tante cose impor­tanti, ma è già morto da ottant’anni. Il lea­der attuale del Chp, Kemal Kiliç­da­ro­glu, è debole, non ha alcun pro­getto da pro­porre. Ha fon­dato la pro­pria cam­pa­gna elet­to­rale sullo scan­dalo di cor­ru­zione attri­buita al governo. Dice che ci darà i soldi che quelli hanno rubato. Ma nem­meno i bam­bini cre­de­reb­bero alle sue parole».

Com­men­tando gli scan­dali di cor­ru­zione e le inter­cet­ta­zioni attri­buite al pre­mier e ai suoi uomini, Ümit afferma che «in parte saranno anche vere ma secondo me sono pre­va­len­te­mente dei mon­taggi». Poi aggiunge, «que­ste ele­zioni rap­pre­sen­ta­vano una grande oppor­tu­nità per il Chp, ma l’hanno sprecata».

PIÙ PUNTI POSI­TIVI CHE NEGATIVI

Poco oltre la piazza cen­trale dello stesso quar­tiere, due donne con il velo fanno acqui­sti in un cal­zo­laio. Una di loro, una robu­sta tren­tenne, ini­zia a par­lare della sua ammi­ra­zione incon­di­zio­nata per il pre­mier citan­done una frase: «Non ci fer­me­remo, avanti tutta!». «Lui fa tutto di testa sua e nel modo migliore. Seguo da vicino la poli­tica e tutti i pro­getti pre­sen­tati per Istan­bul dal primo mini­stro mi sem­brano ecce­zio­nali. Sa par­lare a nome dei cit­ta­dini. Se l’opposizione venisse al governo oggi dovrebbe fare le stesse cose. La que­stione è che nes­suno è in grado di riva­leg­giare con il premier».

Lo scan­dalo delle inter­cet­ta­zioni? Le accuse di cor­ru­zione? «Non ci credo», ribatte pronta. «È ovvio che ruba, che inta­sca dei soldi. Non dico che fanno tutto in modo per­fetto. Ma pur rubando con­ti­nua a costruire auto­strade, nuovi aero­porti, infra­strut­ture. E que­sto non può essere con­si­de­rato pec­cato. Per­ché fa tal­mente tante opere buone che i punti posi­tivi supe­rano di gran lunga quelli negativi».

La que­stione assume un altro tono quando si tratta di espri­mersi del rap­porto incri­nato con Fethul­lah Gülen. «A me lui non piace» risponde, men­tre una donna più anziana che si uni­sce alla con­ver­sa­zione ammette che lei, che fa parte della con­fra­ter­nita di Gülen, è molto dispia­ciuta della situa­zione. «Il pre­mier Erdo­gan mi piace molto anche se qual­che volta non approvo alcune sue uscite», afferma. «Ma vedere due musul­mani che liti­gano mi addo­lora pro­fon­da­mente. Io penso che qual­cuno dall’esterno abbia voluto creare un con­flitto tra i due» dice, e men­tre le altre due donne si allon­ta­nano aggiunge, «noto sem­pre con dispia­cere che diverse per­sone affe­renti alla con­fra­ter­nita sono molto arrab­biati con il pre­mier. Se lo vedono par­lare in tele­vi­sione si alzano e la spengono».

IL CUORE DI ISTANBUL

La muni­ci­pa­lità di Beyo­glu, cuore della città, è tra i luo­ghi più impor­tanti per lo scon­tro tra gli avver­sari poli­tici della pros­sima tor­nata elet­to­rale. I suoi oltre qua­ranta quar­tieri popo­lati da circa 250mila anime, sono qual­che volta molto simili tra loro dal punto di vista della com­po­si­zione sociale e del red­dito degli abi­tanti. Altre volte invece basta attra­ver­sare un viale per pas­sare dai locali alla moda del cen­tro e ritro­varsi tra abi­ta­zioni in stato di abban­dono con inqui­lini che vivono in estrema povertà.

Intorno al viale Isti­klal, l’arteria più impor­tante di Beyo­glu gre­mita di gente a tutte le ore, sono sparsi locali di ogni genere e negozi grandi e pic­coli. La signora Aliye pos­siede una lostraci, un nego­zio di lustra­scarpe, un’attività tra­man­da­tale dalla fami­glia. «Te lo dico io, vin­cerà l’Akp» dice. «Noi siamo pre­senti in que­sta zona dal 1951. Ho visto diverse ammi­ni­stra­zioni comu­nali ma nes­suno ci ha for­nito dei ser­vizi così buoni. Ricordo i tempi in cui l’entrata del mio nego­zio era som­merso dalla spaz­za­tura. Ora non abbiamo più pro­blemi del genere, le strade sono tenute bene, anche le vie più mar­gi­nali sono diven­tate sicure per le donne. E que­sto è pos­si­bile per­ché c’è coor­di­na­mento tra il governo cen­trale e quello locale».

Quale vec­chia abi­tante di Istan­bul con­fessa però che la pre­oc­cu­pano i pro­getti di tra­sfor­ma­zione urbana in atto in città. «Non voglio che ne venga rovi­nato l’aspetto ori­gi­na­rio», dice. «Non mi piace vedere spun­tare un cen­tro com­mer­ciale a ogni angolo» aggiunge, affer­mando di avere appog­giato il movi­mento di Gezi durante i primi giorni, «poi però le inten­zioni sono cam­biate e le scene cui ho assi­stito non mi sono pia­ciute per niente».

VIVA GEZI

«Ho soste­nuto il movi­mento di Gezi e con­ti­nuo a farlo anche adesso» rac­conta invece il pro­prie­ta­rio di una tekel, negozi dove si vende di tutto, ma la cui fonte di red­dito prin­ci­pale è costi­tuito dalle bevande alco­li­che. «In quei giorni abbiamo respi­rato una quan­tità esa­ge­rata di fumo dei lacri­mo­geni, ma ho resi­stito e non ho mai chiuso il nego­zio». Da quando è stata appro­vata la legge che limita la ven­dita al det­ta­glio dell’alcol dopo le 22, le tekel si tro­vano in seria dif­fi­coltà. E anche se molti infran­gono il divieto, rischiano di andare incon­tro a multe sala­tis­sime. «Quella legge ci sta rovi­nando — spiega l’uomo — pago 5mila lire (circa 1.700 euro) di affitto al mese. Il nego­zio resta aperto 24 ore su 24 e per que­sto motivo non rie­sco a vedere quasi mai la mia bam­bina di 2 anni, ma non posso dire di essere bene­stante. Dieci anni fa, quando ho ini­ziato l’attività stavo molto meglio. Per me que­ste ele­zioni sono come quelle gene­rali. Spero tanto che quest’anno l’amministrazione cambi».

Quando si tratta di alcol e locali di diver­ti­mento, le lamen­tele sull’amministrazione di Beyo­glu non si con­tano. Aydin Kara, co-proprietario di una türkü evi (un eser­ci­zio in cui stru­menti clas­sici della musica turca accom­pa­gnano melo­die com­po­ste su testi della poe­sia popo­lare) dal 1995, ne sa qual­cosa. «L’amministrazione dell’Akp è nemica delle atti­vità in cui si ser­vono bevande alco­li­che — spiega — subiamo pres­sioni con­ti­nue. Il divieto di siste­mare tavoli fuori dai locali, l’innalzamento della tassa sul diver­ti­mento che ora va da un minimo di 650 lire men­sili (210 euro circca) a 2.250 (700 euro c.ca) ci ha obbli­gato a lasciare a casa tre per­sone del nostro staff».

Kara, che fa anche parte del con­si­glio di ammi­ni­stra­zione dell’associazione degli eser­cizi di diver­ti­mento di Beyo­glu (Bey der), rac­conta che non è facile nem­meno otte­nere le licenze per i nuovi locali, «a meno che non si fac­cia una ‘dona­zione’ alle sedi indi­cate dalla stessa muni­ci­pa­lità». L’esercente, che con­fessa di aver con­si­de­rato di abban­do­nare tutto e tra­sfe­rirsi all’estero, afferma che «in Tur­chia vige una oli­gar­chia par­la­men­tare. Pen­sare di poter chiu­dere Twit­ter in quest’era per impe­dire la dif­fu­sione di regi­stra­zioni scot­tanti mi sem­bra assurdo. Cre­dono dav­vero di potere impe­dire l’uso dei social media in que­sto modo?», chiede. «Ciò che mi inte­ressa è che non ven­gano rubati soldi al popolo e non ci ven­gano limi­tati i diritti». «Per que­ste ele­zioni — aggiunge Kara — circa 2.500 ope­ra­tori del set­tore hanno tra­sfe­rito la resi­denza a Beyo­glu, per potere avere un peso sul futuro di Beyoglu».

UN REFE­REN­DUM

Erdal è un elet­tore del Par­tito demo­cra­tico del popolo (Hdp), for­ma­zione poli­tica costi­tuita recen­te­mente su ini­zia­tiva del par­tito filo-curdo della Pace e della demo­cra­zia (Bdp) per unire sotto un unico tetto nelle zone occi­den­tali del paese il movi­mento curdo e la sini­stra. «Per que­sta volta però — spiega — ho deciso di votare il can­di­dato sin­daco del Chp, pur di non divi­dere i voti dell’opposizione. Basta che l’Akp se ne vada, non importa chi verrà al suo posto» dice. Erdal rac­conta di risie­dere a Tar­la­basi da 14 anni, uno dei quar­tieri di Beyo­glu in cui i pro­getti di tra­sfor­ma­zione urbana si sono abbat­tuti con mag­giore vio­lenza. Nella stessa zona, in una bot­tega deco­rata con i colori della ban­diera del Kur­di­stan e che vende tabacco (ma sem­bra più un pic­colo cir­colo dove fumando e bevendo del tè si filo­so­feg­gia), in un gruppo di per­sone che si auto­de­fi­ni­scono «anar­chici» e «anor­mali» solo due dichia­rano di volere andare a votare.

«È già chiaro che vin­cerà l’Akp. Que­ste ele­zioni sono più che altro un refe­ren­dum» dice il primo, che dichiara di votare per l’Hdp. «Il movi­mento curdo, che si pre­senta alle ele­zioni per la prima volta con un nuovo par­tito, vuole vedere il poten­ziale dei suoi voti. Non penso che il cosid­detto ‘spi­rito di Gezi’ potrà influirà sull’esito delle ele­zioni», spiega. Anche l’unica donna pre­sente nel nego­zio pensa di votare per l’Hdp. «Non è certo mio dovere cer­care di non sot­trarre voti all’altra oppo­si­zione. Inol­tre una recente inda­gine ha messo in chiaro che l’Hdp è vista da molti come alter­na­tiva all’Akp e non al Chp, che oltre tutto ha rifiu­tato l’alleanza pre­ce­den­te­mente offer­ta­gli dall’Hdp».

Gli altri del gruppo, che dichia­rano di non cre­dere «nei sistemi par­la­men­tari» e in «nes­suna strut­tura orga­niz­zata», riten­gono di non avere biso­gno di per­sone che li gui­dino. «Il popolo è più intel­li­gente dei lea­der dei par­titi. Ma devono ren­dersi conto da soli che quelli non fanno altro che sfrut­tarli, altri­menti non cam­bierà mai niente».

*Osser­va­to­rio Bal­cani Caucaso


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