Lo Stato taglia, dimezzati i caccia F35 L’ipotesi della nave simbolo Garibaldi
ROMA — Matteo Renzi si tiene sul vago per evitare quei contraccolpi che potrebbero rallentare l’operazione. Ma i numeri dei risparmi sulle spese militari ci sono già. A partire dai contestati cacciabombardieri F35, per i quali il governo vuole dimezzare il piano ereditato dal passato: non più 12 ma 6 miliardi di euro da spendere nell’arco di 12 anni, non più 90 ma 45 aerei, con un risparmio previsto di mezzo miliardo l’anno. Nessuna uscita dal programma, dunque, ma una corposa rinegoziazione visto che il numero dei caccia non è fissato da alcun contratto.
Gli F35 sono al primo posto della lista, anche per il loro valore simbolico, per la presa che una mossa del genere potrebbe avere sull’elettorato di sinistra e del Movimento 5 Stelle. Ma nell’elenco dei tagli ci sono altre voci importanti, magari meno scenografiche eppure fonte di grandi risparmi. È il caso di «Forza Nec», il progetto per il cosiddetto soldato digitale. Semplificando molto si tratta dello sviluppo di un sistema che tiene connessi i militari in missione, abbattendo i tempi di comunicazione. L’intenzione del governo è di sospendere il piano, in attesa di capire come gli altri Paesi svilupperanno progetti analoghi. E con l’ipotesi di sviluppare un unico programma europeo.
Tra le idee c’è anche la dismissione e la vendita della portaerei Garibaldi, affiancata nel 2009 dalla più moderna Cavour e adesso a Taranto per lavori di ammodernamento. La Garibaldi, prima portaerei italiana ad entrare in servizio dopo il divieto imposto dai trattati di pace, ha da poco superato i 30 anni, venne varata quando presidente del consiglio era Amintore Fanfani. Un simbolo al quale la Marina non rinuncerebbe certo a cuor leggero. La vendita non servirebbe tanto a far cassa, anche se qualche offerta informale sarebbe già arrivata. Ma eliminerebbe le cosiddette «ridondanze operative», cioè il sovrapporsi di mezzi che hanno funzione analoga, difficili da sostenere in tempo di spending review . Per la stessa ragione rischiano un taglio gli elicotteri per il soccorso in mare: una cinquantina di mezzi oggi divisi fra Marina militare, Guardia costiera e Vigili del fuoco.
In tutto, il governo punta a risparmiare 1 miliardo e 100 milioni l’anno per i prossimi quindici anni. Un progetto impegnativo nel quale, progressivamente, si faranno sentire anche gli effetti della riduzione del personale e della vendita delle caserme. Nell’immediato, però, è dagli armamenti che si può ricavare di più
Consapevole che le resistenze ci saranno, sui tagli ai militari il governo giocherà di sponda con il Parlamento. Nei prossimi giorni la commissione Difesa della Camera voterà il documento conclusivo di un’indagine conoscitiva sui sistemi d’arma. Quel documento fisserà i principi generali dell’operazione. E adesso, quando si parla di investimenti militari, il parere del Parlamento è vincolante. Una novità prevista dalla legge di riforma della Difesa di due anni fa: «Prima — dice Gian Piero Scanu, deputato del Pd che ha proposto il nuovo meccanismo — sulle spese militari le decisioni spettavano a tre o quattro persone. Adesso quello che dice il Parlamento diventa decisivo. E guardate che è una vera rivoluzione».
Lorenzo Salvia
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