Tagli ai manager, mossa del Tesoro Da aprile scattano i primi risparmi

by redazione | 25 Marzo 2014 11:37

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ROMA — Secondo il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nessun manager pubblico deve prendere un stipendio superiore a quello del presidente della Repubblica, cioè 239.181 euro lordi l’anno. Ma al momento non è chiaro se questo tetto dovrebbe applicarsi ai dirigenti apicali del pubblico impiego, ai presidenti e amministratori delegati delle società pubbliche o a entrambe le categorie. Al Tesoro si vuole prima di tutto far chiarezza sulle norme già vigenti e su quelle che stanno per scattare, visto che è stato appena pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» (numero 63 del 17 marzo) il Regolamento sui compensi per gli amministratori delle società controllate dal ministero dell’Economia non quotate e che non emettono strumenti finanziari quotati sui mercati regolamentati. Si tratta di un decreto ministeriale firmato dall’ex ministro Fabrizio Saccomanni che entrerà in vigore dal primo aprile e riguarderà quindi le prossime nomine. Per queste società, che vanno da Invitalia all’Anas, dalla Consap all’Expo 2015, dall’Enav al Poligrafico, da Italia Lavoro alla Sogesid, scatta una classificazione secondo tre «fasce di complessità», che tengono conto del valore della produzione, degli investimenti e del numero dei dipendenti. Nella prima fascia, quella dove rientrano le società più importanti come Rai e Anas l’importo massimo complessivo degli emolumenti, compresa la parte variabile, non potrà superare il trattamento economico annuo del primo presidente della Corte di Cassazione, cioè 311mila euro lordi. Nella seconda fascia, quella delle società intermedie come il Poligrafico, il tetto alla retribuzione totale sarà pari all’80% di quello della prima fascia, cioè 248.800 euro lordi. Nella terza fascia, quella delle società minori tipo Sogesid (tutela del territorio), il tetto scende al 60%, cioè a 186.600 euro lordi. Tali limiti, specifica il decreto, si applicano «all’amministratore delegato, ovvero al presidente, qualora lo stesso sia l’unico componente del consiglio di amministrazione al quale sono state attribuite deleghe». Qualora ai presidenti siano invece conferite specifiche deleghe operative l’emolumento «non può essere superiore al 30% del compenso massimo previsto per l’amministratore delegato».
Per le società quotate, cioè Eni, Enel e Finmeccanica, e per quelle non presenti in Borsa ma che emettono strumenti finanziari quotati, come la Cassa depositi e prestiti, le Ferrovie dello Stato, le Poste, si applicano invece le norme varate dal governo Monti con il decreto Salva Italia come modificate dalla legge 98 del 2013. Esse stabiliscono che per le società quotate direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni è sottoposta all’approvazione dell’assemblea degli azionisti una proposta sulla remunerazione dell’amministratore delegato e del presidente che preveda un taglio del 25% «del trattamento economico complessivo a qualsiasi titolo determinato, compreso quello per eventuali rapporti di lavoro con la medesima società». Tale proposta viene approvata dall’azionista pubblico, dice la legge. Per le società pubbliche o controllate dal pubblico non quotate ma che emettono titoli obbligazionari il taglio del 25% si applica direttamente, ovviamente sempre sulle nomine successive all’entrata in vigore della riforma, cioè dal 21 agosto scorso.
Detto questo, è evidente che anche dopo i tagli decisi dai governi Monti e Letta, siamo ancora lontani dall’obiettivo di Renzi. I 239mila euro del presidente Napolitano sono infatti abbondantemente sotto il tetto dei 311mila fissato per le società non quotate, mentre il taglio del 25% sulle altre interviene su emolumenti altissimi, come quelli degli amministratori delegati dell’Eni Paolo Scaroni (6,52 milioni lordi), dell’Enel Fulvio Conti (3,95 milioni lordi), di Finmeccanica Alessandro Pansa (1,02 milioni lordi), delle Poste Massimo Sarmi (2,2 milioni lordi, compresi 638.746 euro di competenza del 2011 ma erogati nel 2012), del presidente delle stesse Poste, Giovani Ialongo (903.611 euro lordi), dell’ad della Cassa depositi e prestiti Giovanni Gorno Tempini (1,035 milioni lordi), delle Ferrovie Mauro Moretti (873.666 euro lordi). Proprio con quest’ultimo continua la polemica politica. Moretti prima ha annunciato il suo addio nel caso gli tagliassero lo stipendio e poi ha spiegato al Corriere che è disposto a lavorare gratis purché si difendano le retribuzioni dei suoi dirigenti. Parole accolte ironicamente dal ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi: «Se vuole lavorare gratis sono molto contento». E comunque, aggiunge, «nessuno è indispensabile». Anche secondo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, «serve una maggiore equità tra il trattamento dei manager e quello di un impiegato». «La differenza — aggiunge il renziano Davide Faraone, responsabile del welfare Pd — è di 12 volte: una vergogna. Nel resto d’Europa è al massimo di 5».
Enrico Marro

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