Strage di Prato, cinque arresti ci sono anche gli italiani proprietari dei capannoni

by redazione | 21 Marzo 2014 8:53

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PRATO — Ci sono anche due pratesi agli arresti domiciliari per il rogo di Chinatown. Sono i proprietari del capannone trasformato in fabbrica-dormitorio, pareti in cartongesso, stanze alveari senza finestre, senza vie d’uscita, che nell’alba del 1° dicembre 2013 diventò la trappola in cui morirono, tra le fiamme, sette operai. Tutti cinesi, uomini e donne, alcuni clandestini, altri in regola, gente che lavorava anche 13 o 17 ore al giorno, per una paga a cottimo di 2 o 3 euro l’ora.
Gli arrestati sono Giacomo e Massimo Pellegrini, soci della M.G.F., una immobiliare con diverse proprietà sparse fra Prato e la Maremma. «Loro sapevano » ha detto ieri il procuratore di Prato Piero Tony. Sapevano che in quell’immobile di via Toscana, al Macrolotto, nell’area industriale del pronto moda erano stati fatti degli abusi edilizi, sapevano in quali condizioni si vivesse là dentro. I due negano, respingono le accuse, ma dalle pagine dell’inchiesta portata avanti dalla Squadra mobile e coordinata dal sostituto procuratore Lorenzo Gestri, sono diversi gli indizi che li accusano. «Questa inchiesta segna una svolta culturale » ha sottolineato il procuratore Tony. «Si apre un vaso di Pandora» ha aggiunto il capo della Squadra mobile Francesco Nannucci.
Adesso sono in tanti a Prato a preoccuparsi, a mandare avanti i propri legali a scrivere lettere di diffida agli imprenditori cinesi intimando di far sparire gli abusi. E Vincenzo Mellace, presidente del consorzio del Macrolotto, 220 proprietari per 400 capannoni, mette le mani avanti: «Non potete criminalizzarci, in tutti i contratti ci sono clausole sulla sicurezza».
Fra i dolorosi paradossi di questa storia c’è anche quello l’azienda dei rifiuti di Prato che va per tre volte dal 2008 al 2013 a controllare il capannone dormitorio di via Toscana e, invece di presentare un esposto, una denuncia, di lanciare un allarme, calcola diligentemente le planimetrie per stabilire l’importo della tassa sui rifiuti che deve pagare la fabbrica Teresa Moda per quei loculi dormitorio abusivi.
Gli arrestati sono cinque e devono rispondere di concorso in omicidio colposo aggravato plurimo, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro aggravata dal disastro, incendio colposo aggravato e favoreggiamento aggravato, a fini di profitto, della permanenza sul territorio dello Stato di clandestini. Oltre agli italiani, tre imprenditori cinesi sono finiti in carcere. Si tratta dei gestori della ditta (intestata a una prestanome mai rintracciata e il cui nome è ancora fra gli indagati): le sorelle, Lin You Lan, 42 anni, e Lin Youli, 40 anni, e il marito di quest’ultima, Hu Xiaoping. La coppia dormiva con il figlio di 4 anni nello stesso capannone andato distrutto, ma al piano terra, vicino all’uscita, e si è salvata. Secondo l’accusa, i tre stavano per riaprire un altro laboratorio di pronto moda, utilizzando un prestanome, col pericolo di reiterazione del reato.
Lin You Lan è stata fermata di ritorno dalla Cina, dove sarebbe andata per risarcire le famiglie delle vittime con 110mila euro ciascuna. Sull’operazione sono in corso nuovi accertamenti, da valutare anche il ruolo del consolato cinese di Firenze. Leggendo le intercettazioni telefoniche emerge anche un tentativo da parte di alcuni parenti degli operai morti al Macrolotto di aggiustare le testimonianze, di «ammorbidirle » in cambio dei risarcimenti: «Dimmi tu cosa devo dichiarare se mi chiama la polizia…» spiega una parlando con la titolare Lin You Lan. Colpisce nella ricostruzione degli investigatori – non solo la polizia, ma anche la Guardia di Finanza – la lunga serie di omissioni sulla sicurezza: tanto che ad un certo punto il gip scrive: «Ci sono violazioni accertate così gravi e dannose che non c’è da chiedersi quali norme siano state infrante, ma quante ne siano state rispettate…».

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