Silenzio, parla Moretti

Silenzio, parla Moretti

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Dice molte e inte­res­santi cose la stiz­zita rea­zione del cava­lier Moretti alla minac­cia di vedersi decur­tato il mode­sto sala­rio di 850mila euro annui. Una sor­tita inde­cente, che parla di una casta di alti fun­zio­nari blin­data nel pri­vi­le­gio. Sorda alle con­di­zioni di dif­fi­coltà nelle quali vive oggi la stra­grande mag­gio­ranza dei cit­ta­dini. Imper­mea­bile alle più ele­men­tari ragioni della solidarietà.

Il bello è che non passa giorno senza che nuovi dati docu­men­tino un disa­gio dila­gante. Nuovi poveri, nuovi disoc­cu­pati, altri diritti cal­pe­stati. Non arriva nulla di tutto ciò a que­sti signori, come nulla arri­vava alla sovrana di Fran­cia che imma­ginò di distri­buire crois­sants a chi non aveva pane. Inde­cente. Ma anche molto istrut­tivo, come e più del caso Mastra­pa­squa che un paio di mesi fa tenne banco nelle cro­na­che di que­sta nuova «razza padrona».

Moretti ha rea­gito nel nome della suprema ragion mer­can­tile. «Badi il governo a non lasciarsi scap­pare i migliori, che sce­glie­reb­bero impie­ghi più remu­ne­ra­tivi». Ma chi dice al Moretti quanto il Moretti stesso vale? Da dove viene tanta ber­lu­sco­niana sicu­mera? Non risulta che l’amministratore dele­gato delle Fer­ro­vie sia arri­vato lì in virtù di un pub­blico con­corso. Che abbia pre­valso in una com­pe­ti­zione aperta, nel con­fronto con altri legit­timi aspi­ranti alla stessa fun­zione. Risulta pro­prio il con­tra­rio, invece. Che sia stato nomi­nato in base a logi­che poli­ti­che, che col mer­cato poco o nulla c’entrano. Almeno in teoria.

Quanto ai risul­tati da lui con­se­guiti, meglio non par­larne. La cele­bra­zione dell’alta velo­cità la cono­sciamo bene. Ma meglio ancora cono­sciamo la realtà dei treni riser­vati ai pen­do­lari e a chi non si può per­met­tere le costose Frecce. Treni luridi, spesso in grave ritardo, senza manu­ten­zione, affol­la­tis­simi. Per­corsi a osta­coli per rag­giun­gere mete vicine. Con due o tre cambi, e coin­ci­denze siste­ma­ti­ca­mente perse. Un sistema di tra­sporti che dovrebbe essere un ser­vi­zio, e che è stato ridotto a merce. Con una caduta ver­ti­cale della sicu­rezza per i lavo­ra­tori, e la per­se­cu­zione dei mac­chi­ni­sti che osano parlarne.

Il migliore, quello più bravo. Quello che il governo dovrebbe tenersi gelo­sa­mente stretto. Quello che il pre­si­dente Napo­li­tano ha innal­zato al soglio del cava­lie­rato. Quello che non ha rite­nuto di pre­sen­ziare nem­meno alla prima udienza del dibat­ti­mento per la strage di Via­reg­gio (32 morti per il dera­glia­mento di un merci carico di gas) che lo vede impu­tato di omi­ci­dio col­poso plurimo.

Un’altra cosa col­pi­sce in que­sto epi­so­dio inde­co­roso, ed è che nes­suno — pro­prio nes­suno — sente il biso­gno di osser­vare che non c’è ragione di effi­cienza che possa legit­ti­mare l’ingiustizia. Non dovrebbe essere con­sen­tito ad alcuno di gua­da­gnare cin­quanta o ses­santa volte più di un qual­siasi lavo­ra­tore dipen­dente. Per ragioni intui­tive di equità e di rispetto della dignità delle per­sone. Ragioni di cui però nes­suno parla, quasi si fosse sta­bi­lito che si tratta di banalità.

Que­sto silen­zio è grave. Il tema morale sem­bra esi­stere sol­tanto quando si tratta della cor­ru­zione di poli­tici e ammi­ni­stra­tori. Pro­blema seris­simo e mai troppo dibat­tuto. Ma che non dovrebbe can­cel­lare la que­stione della giu­sti­zia (dell’ingiustizia) sociale. Ban­dita invece dal discorso pub­blico. Degra­data a vieto mora­li­smo. A futile recri­mi­na­zione. A indi­zio di risen­ti­mento.
Abbiamo dimen­ti­cato tutti che, senza prin­cipi (o sen­ti­menti) morali, il mer­cato diventa un’arena di vio­lenza, di pre­va­ri­ca­zione. Che una società ridotta a mer­cato ignora i diritti e disperde le pro­prie con­qui­ste di civiltà. Que­sto silen­zio è un cupo segno dei tempi, che ci vede indi­fesi con­tro le pul­sioni distrut­tive di que­sta società.

Infine, col­pi­sce la sto­ria per­so­nale del cava­lier Moretti, che, a dif­fe­renza dell’ex-presidente dell’Inps, pro­viene dalle file del vec­chio Pci. È evi­dente che nulla, pro­prio nulla di quanto carat­te­riz­zava la cul­tura e la mora­lità dei comu­ni­sti è dato ritro­vare nelle sue parole. Per un verso que­sti sono solo fatti suoi. Ma c’è anche da doman­darsi come quel par­tito, da un certo momento in poi, abbia sele­zio­nato e for­mato i pro­pri quadri.

Pos­si­bile che tutto un codice morale si sia let­te­ral­mente vola­ti­liz­zato, senza lasciare trac­cia di sé, nel giro di qual­che lustro? Viene il dub­bio che la «que­stione morale» che l’ultimo Ber­lin­guer pose con acco­rata enfasi attra­ver­sasse già anche la sini­stra, pronta ormai a omo­lo­garsi all’avversario e a mutuarne valori e comportamenti.

Ci è spia­ciuto molto il com­mento di Fabri­zio Barca a que­sta vicenda. Non solo ha con­di­viso le ragioni di Moretti, ha anche aggiunto che di que­ste cose sarebbe meglio non par­lare in pub­blico. All’operaio, al disoc­cu­pato (o al pen­do­lare) non far sapere… Dopo­di­ché abbiamo l’impressione di capire un po’ meglio per­ché ci siamo ridotti in que­sto stato.


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