by redazione | 26 Marzo 2014 8:32
ROMA — Il disegno di legge Delrio — che proroga i presidenti-commissari in 73 Province italiane, dal 30 giugno al 31 dicembre 2014, evitando così nuove elezioni a maggio — fa scricchiolare paurosamente la maggioranza del governo Renzi. Ieri, al Senato, la pregiudiziale di costituzionalità presentata dal M5S è stata respinta dall’Aula per soli 4 voti (115 sì, 112 no, un astenuto). L’aritmetica, dunque, attesta che il governo è stato salvato in corner dai centristi Pier Ferdinando Casini e Paola Merloni per nulla convinti di seguire la rivolta del gruppo guidata da Mario Mauro e da un drappello di fedelissimi dei popolari Per l’Italia. Se anche quei due voti centristi fossero andati a rimpolpare il fronte delle opposizioni, il ddl Delrio oggi varrebbe meno di zero. E il presidente del Consiglio non potrebbe twittare — con un pizzico di ottimismo, visto che questa legge ordinaria non cancella le Province — che se «domani (oggi, ndr ) passa la nostra proposta sulle Province 3.000 politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani». Ma è pure vero che il governo è ancora in sella grazie anche ai 17 senatori di Forza Italia che non hanno partecipato al voto: se fossero stati in Aula, come testimonia un sms risentito del capogruppo Paolo Romani, si sarebbe colta «una occasione» per umiliare il governo Renzi.
Il voto a rischio (assenti giustificati, tra gli altri, i ministri-senatori Giannini e Pinotti, i sottosegretari-senatori Della Vedova e Cassano) aveva registrato un’avvisaglia in I commissione (Affari costituzionali) dove la maggioranza ha un solo voto di vantaggio. Bene, quel voto è venuto meno per due volte grazie all’assenza deliberata dell’ex ministro della Difesa Mario Mauro che ha fatto mancare il suo appoggio a causa di un’altra partita: la soglia di accesso alle elezioni europee troppo alte e non modificate dal testo sulle quote rosa. Il risultato, così, è stato poco lusinghiero per la maggioranza anche perché ai maldipancia dei popolari si sono aggiunti quelli del Ncd. E così il governo è andato sotto due volte: sull’emendamento De Petris (Sel) che restituisce alle Province la competenza sull’edilizia scolastica e sulla proposta del relatore Francesco Russo (Pd) di porre un tetto alle retribuzioni dei presidenti delle Province.
Oggi si torna in Aula con la quasi certezza che il governo porrà la questione di fiducia per non correre rischi davanti ai 3 mila emendamenti. In questo caso, si voterebbe entro stasera per poi rispedire di corsa il ddl Delrio alla Camera che dovrà approvarlo entro e non oltre il 7 aprile: altrimenti, è la tesi del governo, si rischia di votare a maggio per le Province che invece tutti (a parole) vogliono abolire. L’atto di cancellazione delle Province sarà, infatti, di rango costituzionale: stamattina al Senato verrà votata l’urgenza per il ddl Crimi (M5S) che cancella la parola Province dalla Costituzione. Già il governo Monti ci provò a farle fuori con il decreto «salva Italia» ma la Consulta azzerò il provvedimento; Letta, con la legge di Stabilità 2013 ha prorogato i commissari-presidenti fino al 30 giugno; Renzi tira la palla in avanti fino al 31 dicembre. Ma fin quando non verrà approvato un ddl costituzionale le Province non saranno azzerate .
Dino Martirano
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