Se le banche rifiutano i debiti dello Stato

Se le banche rifiutano i debiti dello Stato

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ARRIVATO al governo, Matteo Renzi ha promesso che tutti gli arretrati dello Stato verso le imprese sarebbero stati pagati «in quindici giorni». Di fronte all’enormità del compito, per una cifra (stimata) di 68 miliardi di euro, il governo ora lavora a concludere l’operazione a settembre. Il tempo dirà se è possibile.
I FATTI, per adesso, suggeriscono però che il premier potrebbe aver creato un’aspettativa fra le imprese per qualcosa che non succederà.
La bozza del disegno di legge “per agevolare ulteriormente la normativa europea sui tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione” è pronta. Lì dentro si affrontano uno ad uno gli ostacoli che possono frenare la soluzione del problema. Il principale, per quanto mai riconosciuto dal Tesoro, è che gran parte dei debiti commerciali dello Stato sono tutt’altro che «certi, liquidi ed esigibili» come occorre per legge perché possano essere pagati. La bozza del disegno di legge parla, senza quantificarli, di «debiti fuori bilancio»: di solito sono crediti che le imprese sostengono di avere nei confronti di un ente pubblico, il quale però non li riconosce. In questa categoria si trovano casi estremi: quando per esempio il gruppo globale Ernst & Young vinse l’incarico di rivedere e certificare i conti della Sanità pubblica in Calabria, rinunciò al mandato subito dopo aver dato un’occhiata ai libri. Certo non tutta l’Italia è così, soprattutto non al Centro e al Nord. Eppure quando l’estate scorsa la Ragioneria ha chiesto a tutte le amministrazioni di registrare su un portale elettronico i loro debiti esistenti verso le imprese, il totale è apparso risibile: solo tre miliardi, a fronte degli (almeno) 68 che le imprese reclamano in base a un sondaggio a campione della Banca d’Italia. È probabile che molti enti non riconoscano dei debiti, per non dovervi mettere una data, un impegno e così erodere gli spazi di spesa di cui dispongono in base ai vincoli del patto di stabilità interno. Una stima più cauta, diffusa fra gli addetti ai lavori, è che i debiti commerciali oggi “certi, liquidi ed esigibili” oggi valgano circa 15 miliardi. Ne restano dunque sempre più di 50 “fuori bilancio” o comunque gravati da un’ombra di incertezza.
Nasce di qui il primo dilemma: se i debiti sono incerti, cioè se le amministrazioni non li riconoscono e non li certificano, come può scattare il sistema di pagamento previsto dal governo? Quest’ultimo prevede che un’impresa possa vendere a una banca un proprio credito scaduto nei confronti di un ente solo quando è certificato. Il secondo passo è che la banca trasformi quel credito che ora possiede in un’“anticipazione finanziaria” a quattro anni all’ente debitore: come tale, questa liquidità non conterebbe come debito pubblico nelle stime europee.
Poiché moltissimi debiti sono “fuori bilancio”, cioè non riconosciuti dalle amministrazioni, il disegno di legge propone una scorciatoia: le imprese potranno registrare comunque il proprio credito presso il portale della Ragioneria e questo varrà ufficialmente se entro due settimane l’ente coinvolto non contesta. Vista la complessità delle norme, e l’opacità di decine di migliaia di fatture, è probabilissimo che esplodano decine di migliaia di contenziosi fra creditori e debitori. Più delle imprese, rischiano di beneficiarne gli studi legali.
Poi c’è il passaggio successivo, quello in mano alle banche. Queste ultime vengono invogliate a comprare i debiti scaduti in molti modi: possono acquistarli al 98% del loro valore, quindi guadagnare il 2% quando l’ente salda, o possono rivendere la posizione a Cassa depositi e prestiti. Se l’ente poi non paga e neanche Cdp ricompra, una banca potrà cedere un credito andato a male a un fondo di 150 milioni di euro che il Tesoro sta per costituire. Inoltre la banca che ha il credito riceverebbe una “delegazione di pagamento”, ossia il diritto di intervenire sui flussi di cassa del Tesoro per rivalersi se non viene saldata.
Fin qui il piano del governo. Alcuni dei banchieri che (in teoria) dovrebbero rilevare quei 68 miliardi di debiti pubblici non sembrano convinti. A queste condizioni, non hanno fretta di farlo. Gianluca Garbi di Banca Sistema, un istituto specializzato nel settore, osserva che spesso comprare un credito al 98% non conviene: «Lo faccio volentieri se l’ente è solido e credibile e paga in fretta – osserva – Ma il 2% è un margine di guadagno insufficiente per accollarsi un credito verso certe grandi amministrazioni in dissesto, soprattutto del Sud». Anche l’offerta di guadagnare sugli interessi di mora non è considerata credibile, perché la banca dovrebbe affrontare un lungo e costoso ricorso giudiziario. Inoltre, osserva Garbi, la garanzia ultima del Tesoro è palesemente insufficiente: solo 150 milioni, a fronte di un debito totale di 70 miliardi. «Basterebbe il default di una grossa giunta per far saltare l’intero meccanismo», dice Garbi.
Dunque le amministrazioni non riconoscono i loro debiti e le banche frenano nel volerseli addossare. Il governo cerca di fare in fretta. Ma forse serve qualcosa di più di una promessa in luna di miele, per risolvere decenni di sclerosi italiana.


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