Rodotà: Questi anni buttati dall’Europa
Professore Stefano Rodotà, è anche lei preoccupato per il risultato delle amministrative francesi?
Sì, nel senso che temo possa avere un effetto di trascinamento in altri paesi. Ma non capisco lo stupore, è un risultato largamente annunciato che solo sbrigativamente si può attribuire alla cattiveria del populismo, dall’antipolitica, dall’antieuropeismo cieco. È piuttosto l’esito conseguente della politica della Commissione europea, che in questi anni ha fatto come Margaret Thatcher: «La società non esiste», hanno detto a Bruxelles.
Non vede qualche segnale di cambiamento di linea?
Adesso, nella fase preelettorale, e molto timido. Ma non è di qualche battuta del presidente del Consiglio italiano che abbiamo bisogno, quanto di mettere al centro dell’agenda italiana un ripensamento profondo delle politiche europee.
Renzi dice di volerlo fare, ma dice anche che intende rispettare tutti i parametri europei.
Dovrebbe battere un colpo in questa fase, in questa campagna elettorale. L’altra Europa non può aspettare che il presidente del Consiglio raggiunga chissà quale risultato in Italia. La questione è tanto matura da essere stata evidenziata dallo stesso parlamento europeo, che in numerosi documenti ha criticato i fallimenti della politica della Commissione. Renzi con la promessa dei due tempi finirà prigioniero dei vincoli.
Non trova che il ritardo delle istituzioni europee sia a tal punto cronico che delle nuove regole finiranno per approfittare gli antieuro, in crescita ovunque?
In politica dei rischi bisogna prenderli. Con le nuove regole possiamo immaginare una campagna elettorale di dimensione europea, in Italia un discorso come quello della lista Tsipras non sarebbe stato altrimenti possibile. Altre volte le elezioni europee si sono svolte in una sorta di indifferenze. E a Bruxelles, in particolare dall’Italia, sono stati mandati gli scarti della politica nazionale.
Lei cita la lista Tsipras, ma come si può contrastare il messaggio facile «no all’Europa» con il ragionamento difficile sull’altra Europa?
Io penso che sia possibile perché aveva cominciato a farlo la stessa Europa. Può darsi che questa mia convinzione derivi dall’aver partecipato alla scrittura della carta dei diritti fondamentali, ma ricordo che già nel giugno 1999 il Consiglio europeo di Colonia era arrivato a porsi il problema di superare la concezione dell’Europa come semplice mercato comune. Una concezione che, si diceva già 15 anni fa, aveva dato tutto quello che poteva dare in termini di costruzione del famoso popolo europeo. Dopo di che solo il riconoscimento dei diritti comuni a tutti i cittadini sarebbe stata la condizione di legittimità dell’Unione.
Ci vollero altri cinque anni per arrivare alla Costituzione, poi affondata proprio dal referendum francese. Si può tornare indietro?
Non si può, ma di quello slancio si deve tenere conto. Senza dimenticare gli errori compiuti da una parte della sinistra. Perché l’ostilità alla carta dei diritti fondamentali, o certe critiche, per quanto più fondate, alla carta costituzionale europea scontavano un ottimismo senza fondamento. Si diceva: facciamo cadere quelle carte, poi faremo cose molto migliori. Non era così, la situazione politica era molto negativa e adesso paghiamo anche il prezzo di quella inconsapevolezza.
Come giudica l’avvio della campagna elettorale della lista Tsipras?
Ho visto qualche inciampo, mi auguro che d’ora in poi si cammini in maniera spedita. Ma ci sono ancora molte resistenze, reticenze ed egoismi da parte delle forze politiche organizzate. Spero che tutto questo non si risolva nei disastri che abbiamo conosciuto con le liste della sinistra arcobaleno e Ingroia nelle ultime elezioni politiche nazionali. Vorrei ci fosse la consapevolezza che i patriottismi di gruppo hanno effetti distruttivi.
Prima ha criticato il rigido rigore contabile della Commissione europea, ma da due anni l’obbligo di pareggio di bilancio sta scolpito nella nostra Costituzione.
Un grave errore compiuto nella quasi totale unanimità e assenza di dibattito. Io e altri facemmo appello ai parlamentari perché consentissero almeno il referendum, ricevemmo indifferenza. E così abbiamo portato la logica del rigore in Costituzione, senza che ci fosse richiesto. Molti di quelli che adesso avanzano qualche critica all’indirizzo di Bruxelles dovrebbero ricordare le proprie responsabilità.
Il nuovo art. 81 si può cambiare?
È una norma costituzionale e non può essere oggetto di referendum. Ma nei prossimi giorni il gruppo promotore della manifestazione del 12 ottobre scorso, La via maestra, presenterà due iniziative collegate. Una proposta di referendum abrogativo di alcune parti della legge attuativa, studiata in modo tale che non sia dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale e che abbia effetti sul bilancio pubblico. E insieme un’iniziativa di legge popolare costituzionale per la modifica totale dell’articolo 81, sulla quale raccoglieremo le firme. Speriamo di sollevare quel dibattito pubblico che due anni fa non c’è stato, in difesa della Costituzione e per una critica all’Europa non antipolitica o antieuropeista. E lavoriamo anche ad altre iniziative.
Quali?
Abbiamo già un testo in forma di proposta di legge per riformare lo strumento dell’iniziativa legislativa popolare. Prevede l’obbligo del parlamento di prendere in esame le proposte entro termini certi, con la possibilità per i promotori di seguirne l’iter nella commissione parlamentare, la diretta streaming della commissione e l’obbligo di passare il testo all’aula. Poi torniamo sui beni comuni, aggiungendo alla campagna per l’acqua pubblica la questione della conoscenza in rete con una proposta di legge per inserire nell’articolo 21 della Costituzione il diritto di accesso a internet come diritto fondamentale del cittadino. E infine il lavoro, su tre fronti. Riprenderemo le proposte di legge di iniziativa popolare sul reddito di cittadinanza; intensificheremo la campagna di contrasto all’articolo 8 del decreto dell’agosto 2011 che consente la contrattazione aziendale in deroga alle leggi — grazie alla Fiom sappiamo che sta producendo tutta una serie di accordi che cancellano i diritti dei lavoratori; infine c’è il tema della rappresentanza del lavoro. Su questi punti vogliamo insistere con una logica di decentramento, anche per superare difficoltà che abbiamo avuto: di ciascuna questione si occuperà un pezzo della coalizione sociale che vogliamo favorire.
Dei partiti ha parlato solo per denunciarne gli egoismi, li considera ormai inservibili? La Costituzione affida loro un ruolo centrale.
L’articolo 49, in base al quale i partiti sono lo strumento dei cittadini per concorrere alla politica nazionale, sappiamo che fu voluto da Lelio Basso, il quale in seguito ha scritto cose molto amare sulla degenerazione dei partiti. Negli ultimi anni la prospettiva costituzionale si è completamente rovesciata; nei partiti si sono create delle oligarchie che hanno utilizzato il consenso non per rendere più agevole la partecipazione dei cittadini ma per perpetuare il loro ruolo e potere. Vedo con molto piacere il ritorno della figura di Berlinguer, ma non bisogna confinare la sua denuncia della questione morale in un recinto etico. La sua era una battaglia politica tutta legata alla degenerazione dei partiti, che ha finito col coinvolgere anche il suo partito. E anche oggi il Pd può andare incontro a brutte sorprese. Renzi non ha negato l’intenzione di mettere il suo nome nel simbolo, siamo completamente fuori dalla logica di recuperare i partiti nella loro funzione.
Renzi vuole essere giudicato sui fatti.
Lo faccio. La nuova legge elettorale ha al suo interno gravissimi rischi di incostituzionalità. È in più un’iniziativa schiettamente conservatrice che vuole chiudere la possibilità di accesso al parlamento attorno alle due forze (oggi) maggiori. Il cosiddetto Italicum ha una curvatura maggioritaria molto pesante che fa saltare il sistema delle garanzie. La proposta del senato è poi un pasticcio inaccettabile. Non c’è nessuno con un minimo di peso e ragionevolezza che non l’abbia detto, eppure ho l’impressione che non si voglia tener conto di questa massa di critiche, avviandosi così a ripetere l’errore fatto con l’articolo 81. Dall’insieme di queste proposte si ricava l’impressione di una chiusura del sistema e di un accentramento di poteri che mette in discussione l’equilibrio costituzionale e le garanzie dei diritti individuali e collettivi, dei quali non a caso Renzi non parla. Trovo poi di estrema volgarità dire «vi tolgo dai piedi il senato così risparmiamo un miliardo». In futuro si potrebbe proporre di rinunciare a qualunque altra cosa essenziale per la vita della repubblica, solo per risparmiare. Queste dichiarazioni sono il segno evidente di quanto è stato pesante il contagio dell’antipolitica.
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