Ritorno al passato: la Crimea sarà russa come prima del ’54

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Mosca le defi­ni­sce forze di auto­di­fesa. L’occidente e il governo di Kiev sosten­gono che siano mili­tari russi, senza mostrine. È chiaro in ogni caso che la Cri­mea è pre­si­diata da fine feb­braio da uomini in armi. E que­sto è stato solo il primo passo su una strada che, con cam­pa­gne mar­tel­lanti di pro­pa­ganda e colpi di mano, come l’ascesa poli­tica di Ser­gei Aksyo­nov, il burat­tino sca­ra­ven­tano alla guida del governo di Sim­fe­ro­poli (capo­luogo regio­nale), ha fatto sci­vo­lare le cose fino al limite dello strappo. San­cito con ogni pro­ba­bi­lità que­sta dome­nica, quando la Cri­mea dovrà deci­dere, con pro­cesso refe­ren­da­rio (nella foto i car­telli elet­to­rali, reu­ters), se ade­rire alla Rus­sia o restare con l’Ucraina con un grado più alto di autonomia.

Tutto dice che la Cri­mea è desti­nata a tor­nare parte della Rus­sia, come lo fu fino al 1954. In quell’anno Nikita Kru­sciov, l’allora numero uno dell’Urss, la tra­sferì all’Ucraina. Sui motivi di quella deci­sione s’è discusso a lungo, ma la ragione più solida è di matrice eco­no­mica. Il figlio di Kru­sciov, Ser­gei, ha spie­gato all’emittente The Voice of Ame­rica che all’epoca si stava costruendo una grande diga sul fiume Dnepr per poten­ziare l’irrigazione in Ucraina e nella stessa Cri­mea. Dando a Kiev il con­trollo sulla peni­sola si favorì una gestione meno dispen­diosa del pro­getto. Il pro­cesso di disgre­ga­zione dell’ex potenza comu­ni­sta, nel 1991, ha aperto crepe vistose in Crimea.

Emer­sero dis­sa­pori tra la popo­la­zione russa — mag­gio­ranza nella regione — e le mino­ranze: quella ucraina e quella tatara, di fede musul­mana, che porta sul grop­pone il ricordo dolo­roso delle pur­ghe sta­li­niane, scat­tate sulla base dell’accusa di col­la­bo­ra­zio­ni­smo con i nazi­sti. Ci mise del suo anche l’economia, che rista­gnava. L’apice della ten­sione arrivò nel 1993, quando i rus­so­fili, gui­dati da Yuri Mesh­kov, crea­rono l’istituto della pre­si­denza regio­nale e mani­fe­sta­rono ten­ta­zioni cen­tri­fu­ghe. Poi la crisi rien­trò. All’inizio di que­sta nuova ver­tenza ucraina, qual­cuno l’aveva pre­an­nun­ciato: se le cose si met­tono male, la Cri­mea sal­terà. Detto, fatto. La dif­fe­renza è che sta­volta il gioco è più duro che mai.

Molta atten­zione è stata ripo­sta sui tatari. Stando al cen­si­mento del 2001, l’ultimo effet­tuato, rap­pre­sen­tano il 12,1% della popo­la­zione regio­nale, pari a circa due milioni. I russi sono il 58,5%, gli ucraini il 24,5%. L’unione con Mosca risve­glia nei tatari, molti rien­trati in Cri­mea dopo il ‘91, brutti incubi. I mem­bri del Mej­lis, il par­la­mento non uffi­ciale, appa­ren­ta­tisi con il par­tito della Tymo­shenko alle ele­zioni del 2012, denun­ciano nuove discri­mi­na­zioni. Per tute­larsi hanno cer­cato la sponda della Tur­chia, dove la dia­spora tatara è con­si­stente. Ma Ankara è inges­sata, la fre­nano i cre­scenti rap­porti eco­no­mici intes­suti in tempi recenti con Mosca.

Putin, dal canto suo, ha inviato a Sim­fe­ro­poli Rustam Min­ni­kha­nov, pre­si­dente del Tatar­stan, uno dei sog­getti fede­rali della Rus­sia. Ha fir­mato con Aksyo­nov accordi di col­la­bo­ra­zione e cer­cato di tran­quil­liz­zare, senza troppi risul­tati, il Mej­lis. Mosca dovrà assi­stere eco­no­mi­ca­mente la Cri­mea. Il Finan­cial Times ha rile­vato che l’80% del fab­bi­so­gno d’energia elet­trica della regione e il 65% di quello di gas arri­vano dalle con­dotte che attra­ver­sano l’Ucraina. Se i flussi doves­sero inter­rom­persi la Rus­sia dovrà aprire i rubi­netti. Ma anche il set­tore turi­stico, perno dell’economia locale, rischia con­trac­colpi, se è vero, sem­pre secondo il Finan­cial Times, che i due terzi del flusso di visi­ta­tori arri­vano ogni anno dall’Ucraina.

Il Crem­lino, su que­sto fronte, s’è mosso invi­tando gli impren­di­tori russi a inve­stire in pro­getti, spe­cie nel turi­smo e nelle infra­strut­ture, dal valore com­ples­sivo di cin­que miliardi di dol­lari. La somma di cui, a sen­tire Aksyo­nov, la Cri­mea ha biso­gno. Oltre a que­sto Mosca punta a rea­liz­zare un ponte sullo stretto di Kerch, lin­gua di mare di quat­tro chi­lo­me­tri abbon­danti che separa il lembo orien­tale della Cri­mea dalla Rus­sia. Un vec­chio pro­getto che torna prioritario.

Nel porto di Seba­sto­poli c’è la flotta russa sul Mar Nero, per accordi presi all’epoca del crollo dell’Urss e rin­no­vati da Yanu­ko­vich, nel 2010. La prova di forza di Putin è anche votata a blin­dare la per­ma­nenza delle navi russe a Seba­sto­poli. Il loro poten­ziale mili­tare è con­si­de­rato anti­quato, ma più che que­sto con­tano sim­bo­lo­gia (città e flotta vivono in sim­biosi) e stra­te­gia: il pre­si­dio è irri­nun­cia­bile, dato che sull’altra sponda c’è la Tur­chia, paese con cui Mosca ha buoni rap­porti, ma pur sem­pre mem­bro Nato.


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