Tra Renzi e l’Ue c’è una grande intesa

by redazione | 21 Marzo 2014 10:26

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Al con­si­glio euro­peo di Bru­xel­les dedi­cato all’industria, all’energia e alla crisi ucraina, Mat­teo Renzi è sem­brato sicuro di potere strap­pare due deci­mali di defi­cit in più nel 2014, dal 2,6% al 2,8% per finan­ziare il taglio dell’Irpef a bene­fi­cio di chi ha un con­tratto dipen­dente e un con­tratto sta­bile. Il pre­si­dente del Con­si­glio ha incas­sato un tweet di sim­pa­tia da parte del pre­si­dente della Com­mis­sione Josè Bar­roso quando ha con­fer­mato di volere rispet­tare tutti i vin­coli dell’Ue.
«L’Unione euro­pea sosterrà le sue riforme, biso­gna rispet­tare gli impe­gni presi» ha detto il por­to­ghese. E cioè una riforma del lavoro che sta­bi­li­sce la pos­si­bi­lità di otto pro­ro­ghe per tre anni di con­tratto di lavoro a tempo deter­mi­nato. Lo sce­na­rio è quello dei «con­tratti a zero ore» in Inghil­terra, una con­di­zione simile a chi oggi in Ita­lia lavora con un con­tratto «job on call» oppure a som­mi­ni­stra­zione. Si può lavo­rare anche una volta a set­ti­mana o al mese, e si può essere licen­ziati in qual­siasi momento e senza pre­av­viso. Forse, ci sarà un risar­ci­mento ma, con­si­de­rate le ristret­tezze dei tempi, è da escluderlo.Una riforma basata sulla fatale «poli­tica dei due tempi»: prima viene iniet­tata una pos­sente dose di pre­ca­rietà, con la legge delega che dovrebbe ride­fi­nire entro la fine della legi­sla­tura gli ammor­tiz­za­tori sociali con il «Naspi». Que­sto sus­si­dio andrà a bene­fi­cio solo di 1 milione e 200 mila per­sone, esclu­dendo milioni di disoc­cu­pati, pre­cari o par­tite Iva.
Tra le riforme apprez­zate da Bar­roso, e da Angela Mer­kel nel bila­te­rale a Ber­lino durante lo scam­bio della maglietta di Mario Gomez, c’è anche il taglio defi­ni­tivo delle pro­vince, l’abolizione del Senato come camera elet­tiva, la legge elet­to­rale, e la spen­ding review di Carlo Cot­ta­relli che ha affi­dato alla «poli­tica» l’impegno di tagliare – mediante il blocco totale del turn-over e riforma For­nero delle pen­sioni – 85 mila lavo­ra­tori nel pub­blico impiego. Per le cifre, e le deci­sioni ulti­ma­tive, que­sta «poli­tica» ha riman­dato bal­dan­zo­sa­mente le pole­mi­che all’approvazione del Docu­mento di eco­no­mia e finanza ad aprile, quando dovrà anche com­pi­lare il piano nazio­nale delle riforme che dovrà supe­rare l’esame della Com­mis­sione Ue, e di Angela Merkel.Que­ste deci­sioni, ha detto Renzi a Bru­xel­les, «sono più impor­tanti delle discus­sioni su uno 0,2% di defi­cit in più». Basta anche con le pole­mi­che sulle coper­ture. «Sono fuori di dub­bio» ha riba­dito Renzi. In effetti, l’ex sin­daco ha ragione e per que­sto biso­gne­rebbe pre­stare più atten­zione ai pro­getti di un ese­cu­tivo che dice di stare «rivo­lu­zio­nando e cam­biando l’Italia». Tutto sta a capire in quale dire­zione stia andando. In attesa dell’elezione di un’altra com­mis­sione più sen­si­bile agli inve­sti­menti per la cre­scita, Renzi e il Pd spe­rano che sarà gui­data dal tede­sco Mar­tin Schultz che ieri ha con­fer­mato di «lot­tare insieme» a loro, in una stanca gior­nata pas­sata tra bat­tu­tine gonze e retro­scena su scon­tri con la Com­mis­sione mai avve­nuti, ieri almeno due ele­menti erano chiari.
Il primo è che l’Italia «non viene in Europa come uno stu­dente fuori corso ma come un Paese fon­da­tore che rispetta i vin­coli». Il secondo è che rispet­terà il Fiscal Com­pact, il trat­tato inter­na­zio­nale entrato in vigore il 1 gen­naio 2013. Que­sto «patto» impone due obbli­ghi, il pareg­gio di bilan­cio (non il 3% che Renzi assi­cura di non sfo­rare, ma lo 0) e la ridu­zione del debito pub­blico al ritmo di un ven­te­simo (5%) all’anno.Dall’attuale 133% (in cre­scita) al mito­lo­gico 60%. Renzi ha impe­gnato il suo paese ad effet­tuare dal 2015 mano­vre lacrime e san­gue da 50 miliardi di euro all’anno. Le riforme elet­to­rali e costi­tu­zio­nali rien­trano in que­sto qua­dro di «sem­pli­fi­ca­zione» richie­sto a gran voce dai rifor­ma­tori euro­pei. Sarà un mas­sa­cro sociale. Il pre­si­dente del con­si­glio non ha alter­na­tive se intende restare nel qua­dro delle com­pa­ti­bi­lità impo­ste dai trat­tati vigenti. Spera solo, come ha sug­ge­rito ieri Vasco Errani, pre­si­dente della Con­fe­renza Stato-Regioni incon­trata ieri prima della gita a Bru­xel­les, di otte­nere l’esclusione dei fondi strut­tu­rali dal Patto di sta­bi­lità. Si tratta di una «clau­sola per inve­sti­menti» fino a 4,5 miliardi di euro con­ge­lati nel novem­bre 2013. È da tempo che l’Italia chiede di usarli per i pro­getti infra­strut­tu­rali cofi­nan­ziati dalla Ue. Que­sto sarebbe il magro scam­bio pro­po­sto da Renzi alla Troika. Il paese resta in attesa di mano­vre finan­zia­rie extra-strong che potreb­bero abbat­tere il Pil del 4% (con una «cre­scita» attuale infe­riore allo 0,6% pre­ven­ti­vato per il 2014).
Deci­sioni «that­che­riane» sul pub­blico impiego atten­dono Renzi. Si resta inol­tre in attesa delle sue deci­sioni sul futuro dei tagli alla sanità richie­sti. Renzi si sarebbe preso qual­che giorno di rifles­sione, ha infor­mato Errani. Nel frat­tempo, con­ti­nua a pas­sare inos­ser­vato il merito dello scam­bio pro­po­sto all’Unione Euro­pea: aggiun­gere alle forme di pre­ca­rietà esi­stenti un «Jobs Act» che rende la pre­ca­rietà ancor più strut­tu­rale. Il plauso di Bar­roso e di Mer­kel è stato otte­nuto gra­zie allo scalpo di milioni di persone.

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