Raid israeliano a Jenin, uccisi tre palestinesi

Raid israeliano a Jenin, uccisi tre palestinesi

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«Gli Stati Uniti fer­mino le atti­vità mili­tari israe­liane in Cisgior­da­nia, altri­menti crol­le­ranno gli sforzi di pace avviati Washing­ton». E’ que­sto l’avvertimento lan­ciato dall’Autorità nazio­nale pale­sti­nese di Mah­mud Abbas in rispo­sta al raid nel campo pro­fu­ghi di Jenin lan­ciato ieri dall’esercito israe­liano per arre­stare, Hamza Abu Hejla, 20 anni, un mili­tante di Hamas accu­sato di “ter­ro­ri­smo”, in cui sono stati uccisi almeno tre pale­sti­nesi. Una rea­zione mor­bida di fronte a quanto è acca­duto. Si tratta del bilan­cio più alto di morti, in que­sti ultimi mesi, di un’operazione mili­tare israe­liana in Cisgior­da­nia. Sale a oltre 60, secondo un cal­colo fatto dall’Olp, il numero dei pale­sti­nesi uccisi da Israele da quando, lo scorso luglio, sono riprese le trat­ta­tive bila­te­rali, con la media­zione ame­ri­cana. Non man­cano le pole­mi­che in casa pale­sti­nese. Tre gruppi armati — Bri­gate Ezze­din al-Qassam (Hamas), Bri­gate mar­tiri di al-Aqsa (Fatah) e Bri­gate al-Quds (Jihad) — accu­sano ii ser­vizi di sicu­rezza dell’Anp di aver favo­rito l’operazione israe­liana nel campo di Jenin.

Nella notte tra venerdì e sabato, reparti spe­ciali israe­liani hanno cir­con­dato la casa di Abu Hejla. Quando il gio­vane si è rifiu­tato di arren­dersi, i mili­tari sono entrati nell’edificio e lo hanno ucciso. Il ricer­cato, secondo la ver­sione israe­liana, avrebbe spa­rato per primo, ferendo due sol­dati. Invece per i pale­sti­nesi è stato ucciso a san­gue freddo. Subito dopo decine di gio­vani si sono river­sati in strada a pro­te­stare, lan­ciando sassi e bot­ti­glie molo­tov. I mili­tari hanno aperto il fuoco ucci­dendo due dimo­stranti, tre secondo altre fonti. Il mini­stro della difesa israe­liano Moshe Yaa­lon ha espresso sod­di­sfa­zione e affer­mato che l’operazione «ha impe­dito un atten­tato». Quindi si è con­gra­tu­lato con l’Esercito. Parole che hanno pro­vo­cato oltrag­gio in Cisgior­da­nia e le orga­niz­za­zioni armate pale­sti­nesi ora minac­ciano una rappresaglia.

Tutto ciò men­tre si vivono le fasi più deli­cate del nego­ziato voluto dagli ame­ri­cani ma che, sino ad oggi, non ha por­tato ad alcun risul­tato. Il Segre­ta­rio di stato John Kerry ha per­ciò con­ge­lato la sua pro­po­sta di “accordo-quadro” e punta solo a una esten­sione a fine anno dei col­lo­qui oltre la data sta­bi­lita del 29 aprile per la firma delle prime deci­sive intese. Il pre­si­dente pale­sti­nese Abu Mazen per andare avanti in una trat­ta­tiva che, al momento, non pare avere alcuna pos­si­bi­lità di suc­cesso, chiede la scar­ce­ra­zione di dete­nuti poli­tici eccel­lenti – come il lea­der di Fatah, Mar­wan Bar­ghouti — e lo stop alla colo­niz­za­zione israe­liana a Geru­sa­lemme Est e in Cisgior­da­nia. Richie­ste che il governo gui­dato da Benya­min Neta­nyahu non intende acco­gliere e alle quali ha rispo­sto dando il via libera, qual­che giorno fa, un nuovo pro­getto per la costru­zione di oltre 2mila alloggi nelle colo­nie israeliane.


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