Ora il «premier» apre al sud-est e Pravi Sector chiude a Nato e Ue

by redazione | 20 Marzo 2014 10:27

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Nei due ultimi discorsi di Arse­niy Yatse­niuk, l’uno pro­nun­ciato mar­tedì, l’altro ieri, si con­densa l’obiettivo irri­nun­cia­bile del governo: sal­vare il paese. Si tratta di sven­tare il col­lasso eco­no­mico e di rat­top­pare lo squar­cio che corre lungo il nor­do­vest e il nor­dest. La culla della rivo­lu­zione nazio­na­li­sta e il bastione del rap­porto forte con la Rus­sia, volendo farla breve e sintetica.

Pro­prio al sudest Yatse­niuk s’è rivolto nel suo primo inter­vento. Il cui regi­stro ha testi­mo­niato l’intenzione di cam­biare passo, rispetto alle prime bat­tute della nuova sta­gione, segnata da impeti che hanno squa­der­nato dubbi anche tra gli euro­pei. Su tutti la can­cel­la­zione della legge sulla lin­gua varata nell’agosto 2012 da Yanu­ko­vich. Quella misura, che fu anche molto elet­to­rale (in otto­bre ci furono le poli­ti­che), ele­vava il russo a lin­gua uffi­ciale nelle aree dove è par­lato da almeno il 10% della popo­la­zione. Yatse­niuk ha ricor­dato che il pre­si­dente prov­vi­so­rio, Olek­sandr Tur­chy­nov, ha bloc­cato la revoca della legge, indice della volontà discri­mi­na­to­ria e dei sus­sulti anti­russi del nuovo potere di Kiev, a sen­tire il Crem­lino. Le cose restano come sono, la lin­gua russa non è minac­ciata. Così s’è espresso il primo ministro.

S’è men­zio­nato anche il tema del decen­tra­mento ammi­ni­stra­tivo, inter­cet­tando la richie­sta di fede­ra­liz­za­zione che viene da Mosca, ma trova sponde anche a Bru­xel­les e nella stessa Ucraina. Le regioni avranno molti poteri su istru­zione, sanità, risorse finan­zia­rie e ordine pub­blico, ma anche sulle que­stioni della sto­ria e «dei suoi eroi». Mes­sag­gio evi­dente: nessun’altra sta­tua di Lenin verrà abbat­tuta, come acca­duto in molte aree dell’ovest nei giorni suc­ces­sivi alla fuga di Yanu­ko­vich. Il che ha avve­le­nato non poco il clima politico.

Il primo mini­stro ha toc­cato anche altri temi sen­si­bili, sia nel sudest ucraino che dalle parti del Crem­lino. Uno è l’ingresso nella Nato. Non è in agenda, ha affer­mato. In com­penso Kiev è appena uscita dalla Csi, il con­sesso di repub­bli­che post-sovietiche nato dopo il crollo del gigante comu­ni­sta. Si sfilò anche la Geor­gia, dopo la guerra con Mosca del 2008.

Ieri è stato intro­dotto il regime dei visti nei con­fronti dei russi. Uno dei pochi stru­menti che Kiev può mano­vrare, davanti alla forza eco­no­mica e mili­tare di Mosca. Potrebbe essere letto tut­ta­via come la sto­ria della lin­gua. L’esigenza della neu­tra­lità è stata snoc­cio­lata nelle scorse ore anche da Dmy­tro Yarosh, capo del Set­tore destro, il movi­mento estre­mi­sta di destra che ha con­tri­buito con le armi alla rivo­lu­zione. Yarosh ha scar­tato l’adesione alla Nato, come la pro­spet­tiva comunitaria.

Sul fronte dell’Europa c’è da segna­lare che Yatse­niuk, sem­pre nel discorso ai con­na­zio­nali del sudest, ha pre­ci­sato che sulla parte eco­no­mica degli accordi di Asso­cia­zione con l’Ue, con­tra­ria­mente a quella poli­tica, che verrà fir­mata nei pros­simi giorni, Kiev s’è presa del tempo. Vuole veri­fi­care che non nuoc­cia alle indu­strie del paese, spal­mate soprat­tutto nell’est. Una ragione che era stata addotta da Yanu­ko­vich quando, il 21 novem­bre, aveva boc­ciato le intese com­mer­ciali con Bruxelles.

In sostanza: Yatse­niuk vuole con­ce­dere quanto più pos­si­bile al sudest, forse anche più di quello che vor­rebbe. D’altro canto non ha troppe alter­na­tive. Il paese è lace­rato, il rischio implo­sione non è una fantasia.

Né lo è quello di scon­quasso eco­no­mico. Gli 11 miliardi di euro in arrivo dall’Ue e quelli che giun­ge­ranno dal Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale non bastano, da soli, a dare ossi­geno. Devono essere accom­pa­gnati da riforme pro­fonde. Que­sto ha lasciato inten­dere Yatse­niuk nell’altro discorso, di ieri, aprendo il con­si­glio dei mini­stri. Sono state annun­ciate misure a favore della tra­spa­renza e della lotta alla cor­ru­zione, oltre a prov­ve­di­menti orien­tati a cala­mi­tare inve­sti­menti dall’estero. Ver­ranno inol­tre tas­sate le ren­dite finan­zia­rie e ci sarà un pre­lievo sui depo­siti ban­cari supe­riori a 50mila hry­v­nia (3500 euro). Per Yatse­niuk col­pirà solo il 10% della popo­la­zione, ma qual­cuno crede che ci rimet­terà anche la classe media. In ogni caso ci saranno dei sacri­fici. Dovremo fare leggi impo­po­lari, ha tagliato corto Yatse­niuk, sen­ten­ziando che la cosa è neces­sa­ria per sta­bi­liz­zare l’economia e rice­vere l’assistenza del Fmi.

Su que­sto punto si apre il discorso degli oli­gar­chi. Hanno in mano grosse fette di Pil e c’è da capire se accet­te­ranno il radi­ca­li­smo rifor­mi­sta, che rischia di asse­stare una bella botta alle loro indu­strie pesanti e poco flessibili.

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