by redazione | 22 Marzo 2014 9:27
Marco Revelli è uno degli intellettuali italiani più irriverenti nei confronti della sinistra. Nel 1996 scrisse
Le due destre per segnalare il rischio che, chiuso il Novecento fordista, la sinistra italiana si consegnasse al dominio ideologico delle tecnocrazie liberali europee. Erano gli anni di Tangentopoli e dell’Ulivo. Oggi, in pieno postfordismo, Marco Revelli propone la Post- Sinistra, da questa mattina in edicola, libreria e in ebook per la nuova collana “iLibra” di Repubblica e Laterza.
Revelli, che cosa resta oggi della sinistra?
«Resta ben poco. Perché resta molto poco della politica, della capacità di offrire un’alternativa razionale a quello che è sempre stato definito l’ordine naturale delle cose, l’immutabile susseguirsi di scelte che privilegiano una piccola parte della società a scapito di una maggioranza subalterna».
Politica e sinistra sono dunque sinonimi?
«Nell’Occidente capitalista è così. La destra non propone di mettere regole all’economia e al sistema sociale. Al contrario, propone di toglierle: non si fa carico di una proposta organica di società ma si limita a suggerire le ricette ideali perché sia il libero mercato con i suoi istinti a plasmare la realtà».
Dunque dire che non c’è più la politica, significa dire che ha vinto la destra?
«In un certo senso è così. Non ha vinto una destra politica in senso stretto, ma hanno vinto i tecnocrati che applicano le sue ricette. Mi colpì molto, un anno fa, la considerazione che fece il neogovernatore della Bce, Mario Draghi, all’indomani del controverso risultato elettorale alle politiche italiane. Eravamo effettivamente in una situazione di stallo, aperta a tutti gli esiti possibili. Draghi commentò: “Non c’è da preoccuparsi in modo particolare. Chiunque alla fine governerà, sulle grandi scelte c’è un pilota automatico che garantisce la rotta”».
Perché la colpì quella frase?
«Perché quella frase è la negazione della politica. È come se i passeggeri spendessero molto tempo a scegliere il pilota per poi scoprire che, chiunque sia ai comandi, la rotta è già tracciata da altri ».
Chi può oggi invertire la rotta tracciata dai tecnocrati?
«Non vedo molte possibilità. Il mercato della politica offre poche alternative credibili. Ci sono diversi populismi che provano non a invertire la rotta ma a rassicurare (o a aizzare, che è lo stesso) i passeggeri dell’aereo. Sono tutte quelle proposte che promettono di tutelare settori particolari della popolazione: difendere gli indigeni dagli immigrati, i benestanti dall’assalto dei poveri, ma anche i cittadini dalla casta dei politici».
Per riassumere, dalla Lega a Grillo?
«Con le loro diversità, naturalmente. Ma li ascriverei tutti alla categoria dei populismi».
Poi c’è la sinistra rappresentata dal Pd e, oggi, da Renzi. Qual è il suo giudizio?
«Il Pd è una forza politica che non ha più nulla a che vedere con la tradizione della sinistra italiana del Novecento. Renzi è l’ultima bandiera di un’idea della politica che si fonda sulla personalizzazione e sull’illusione della cosiddetta ripresa. L’idea cioè che la crisi di questi anni sia come una malattia che passa e poi tutto torna come prima. Sappiamo tutti che non sarà così ma ci piace credere che con 85 euro al mese in più in busta paga l’economia riprenderà e passeranno tutti i problemi».
Eppure non si può certo aspettare che arrivi la catastrofe per cambiare il mondo. E se la catastrofe non arriva? Siamo ancora ad aspettare la caduta tendenziale del saggio del profitto…
«Non si tratta di attendere la catastrofe ma di guardare la realtà. È evidente che l’attuale situazione non può proseguire a lungo. Un mondo in cui 85 miliardari possiedono la ricchezza di tre miliardi di persone non è un mondo che abbia grandi prospettive. Possiamo far finta che non sia così, possiamo credere che ci sia la luce in fondo al tunnel ma sappiamo che non è vero».
Un tempo la sinistra aveva proposte di sviluppo. Modelli alternativi ma realistici per il cambiamento. Oggi non rischia di proporre solo suggestioni per un mondo che verrà chissà quando?
«La sinistra si è identificata per molti anni con la modernità, con una certa idea di ammodernamento del mondo. Ma dopo la fine del Novecento che cosa è la modernità? Velocità e cemento? Pura mitologia del fare?»
Nella Post- Sinistra qual è allora il ruolo dell’intellettuale?
«È quello di segnalare i pericoli di un mondo che procede fiducioso con il pilota automatico verso la catastrofe. Non è un ruolo semplice. Credo però che sia utile avere nella società degli anticorpi che non si rassegnano ad accettare l’ordine di cose esistente e la grande narrazione che lo giustifica. In fondo, gli anticorpi possono servire proprio per difendersi dalle malattie. L’intellettuale che fa questo va preservato perché è una specie di vaccino sociale».
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