Piazze bollenti, ma Caracas resiste
Geraldina Colotti, Piazze bollenti, in Venezuela. E, dopo i segnali distensivi tra Obama e Maduro, due senatori Usa, un democratico e un repubblicano, hanno chiesto al presidente di imporre a Caracas «sanzioni selettive», come vietare i visti o congelare i beni di chi abbia perpetrato «gravi violazioni dei diritti umani contro manifestanti pacifici, giornalisti e altri membri della società civile». Un pronunciamento a senso unico, considerando che i «guarimberos» dell’opposizione, in azione da tre settimane, non sono certo mammolette.
A lanciare questa tattica di guerriglia (provocare e attaccare per far reagire il governo e accusarlo di repressione) è stato il leader di Voluntad Popular, Leopoldo Lopez, in carcere con l’accusa di istigazione a delinquere e devastazione. E ieri è partito un mandato di cattura anche per un altro dirigente di opposizione, Carlos Vecchio, accusato per gli stessi reati. I morti sono già 17 e altre 50 le vittime collaterali: donne incinte o malati che non hanno potuto raggiungere l’ospedale a causa dei blocchi stradali, ancora attivi nei quartieri-bene. Secondo il giornalista televisivo, Miguel Angel Pérez Pirela, gruppi paramilitari vengono allenati nella facoltà di Ingegneria dell’Università Carabobo, finanziati dal sindaco di San Diego, Enzo Scarano e dal segregario della facoltà, Pablo Aure.
I danni economici e ambientali sono ingenti. Centinaia di ettari di parco sono andati distrutti negli incendi che i pompieri non hanno potuto spegnere perché è stato impedito loro di passare. Per via delle strade bloccate, non ci si può recare al lavoro. «Bruciano i camion della carne, dei prodotti alimentari. A Maracaibo hanno bruciato il Super Lider, e ora daranno la colpa a me se a San Cristobal mancano la farina e il riso», ha detto il presidente Maduro, stretto fra chi gli chiede di riportare l’ordine e chi aspetta solo un passo falso per accusarlo di «dittatura». E sono in molti a scorgere il tentativo di provocare una situazione «alla cilena» come fu contro il socialismo democratico di Salvador Allende. Una situazione ben compresa dal movimento studentesco in Cile, che ha espresso solidarietà a Maduro. Rimuovere con la forza un governo legittimato da 18 votazioni regolari avrebbe conseguenze devastanti per tutto il continente, e manderebbe un segnale preciso anche in Europa.
Il governo prova a disinnescare le tensioni invitando al dialogo studenti e leader dell’opposizione. Maduro ha ricevuto a Miraflores dirigenti d’azienda, media privati, membri della chiesa cattolica, e studenti, lavoratori e governatori, sia del suo campo che di quello avverso. Una Conferenza nazionale per la pace, «senza condizioni e senza consegne», ha detto il presidente. Presenti i vertici della Confindustria locale (Fedecamaras), rappresentati da Jorge Roig e quelli della grande impresa di alimenti Polar, Lorenzo Mendoza, che ha sollecitato la messa in campo di una «Commissione per la verità» in materia economica. Proposta accettata dal governo.
La natura della protesta l’ha sintetizzata Roig: «Presidente, lei deve ascoltare voci diverse da quelle che le stanno intorno, state cercando di imporre un modello economico che è fallito nel mondo intero», ha detto riferendosi al socialismo, e ha aggiunto: «Fedecamaras ha commesso errori, ma dobbiamo voltare pagina». Fedecamaras fu in prima fila nel golpe contro Chavez del 2002 e il suo massimo rappresentante, Pedro Carmona Estanga, durante la presidenza-lampo ottenuta illegalmente, sospese subito le garanzie costituzionali e diede avvio alla repressione.
E gli avvocati di Mendoza, la cui impresa controlla una ventina di prodotti del paniere, hanno presentato una valanga di ricorsi contro la legge del lavoro, che garantisce chi produce ricchezza da quelli che se ne appropriano.
Giovedì, le camicie rosse hanno marciato per ricordare la rivolta del Caracazo. Il 27 febbraio del 1989, di fronte a un’impennata dei prezzi e dell’inflazione, la popolazione dei quartieri poveri esplose contro il governo del socialdemocratico Carlos Andrés Pérez (1989–1993). Cap – come veniva chiamato il presidente – aveva deciso di applicare i piani di aggiustamento strutturale imposti dal Fondo monetario internazionale, stringendo ancor di più il cappio intorno al collo delle classi popolari. In quell’anno, l’inflazione — storica piaga del paese — arrivava all’84,5%, il 30% della popolazione viveva in povertà estrema, e il 62% in povertà.
Al popolo che manifestava, Pérez rispose con le pallottole dei soldati e della polizia: 300 i morti accertati dal governo ma, secondo le organizzazioni per i diritti umani, le vittime potrebbero essere tra le 3.000 e le 5.000. «Ancora oggi stiamo ritrovando fosse comuni – ha detto ieri il vicepresidente Jorge Arreaza – mai più si verificherà un Caracazo in Venezuela, perché adesso possiamo contare su una Forza armata più umanista e patriottica, che sta col popolo». Giovedì, nel corso di una cerimonia, il governo ha risarcito 112 famiglie, vittime della repressione durante il Caracazo. Da due anni, è infatti attiva una Commissione contro l’oblìo, che indaga sui crimini commessi durante la IV repubblica.
In piazza, il socialismo bolivariano ha gridato: No volveran, non torneranno. Un messaggio diretto alla destra e ai grandi media di opposizione (ancora oggi maggioritari) che hanno provato a capovolgere il senso del Caracazo, collegandolo alle proteste in corso contro il governo. Anche se a sostenere le «guarimbas» sono i ceti imprenditoriali e non gli operai. Manifestazioni per «la salida», l’uscita dal governo del presidente Nicolas Maduro, chiesta dalla parte più oltranzista della destra come Maria Corina Machado e Lopez. Il 27, anche la Mud ha nuovamente sfilato a Caracas per chiedere la liberazione di Lopez, mentre i gruppi di destra bruciavano copertoni e librerie. Ad Altamira e Mercedes la polizia è intervenuta coi lacrimogeni, In Apure, gruppi oltranzisti hanno cercato di interrompere il carnevale dei bambini.
In un articolo corredato di immagini, molto cliccato su apor?rea?.org, il giornalista Luigino Bracci, difensore del software libero e della libertà di espressione, ragiona sui morti di piazza e sul contesto che li ha provocati. Documenta le tattiche dei «guarimberos»: A Los Ruices – racconta — si mettono a 3 o 4 metri di distanza dai plotoni che proteggono Vtv, cominciano a gridare improperi che nessun sano di mente accetterebbe: «cubani di merda, via dal nostro paese, maledetti chavisti vi ammazzeremo». Dalle finestre, intanto, piovono bottiglie e sassi. Alcuni filmano col cellulare, pronti a cogliere qualche reazione intemperante che farà subito il giro su Youtube al grido di «S.o.s. Venezuela». Per chiedere l’intervento straniero.
«E quale reazione credete che abbia la Guardia nacional? Nessuna. I soldati rimangono lì, fingendo di non sentire». Durante il Caracazo, invece, militari e polizia «entravano nelle case con la forza, tiravano fuori le persone, le massacravano e le facevano scomparire».
Il Movimento dei paesi non allineati (120) — intanto — ha espresso solidarietà al paese per i morti, ribadendo la non ingerenza; in una riunione semideserta (80% di eurodeputati assenti), invece il Parlamento Europeo ha discusso la situazione. Su invito del Ppe, i deputati, quasi tutti di destra, hanno attaccato Maduro e chiesto un intervento esterno per risolvere la crisi, chiedendo l’invio di una missione «per chiarire la situazione nel più breve tempo possibile». E Maduro ha scritto su Twitter: «Guardate chi sono quelli che votano contro il Venezuela». Alludeva a Protasiewicz, del Ppe che, secondo le informazioni del Jerusalem Post, è stato fermato all’aeroporto di Francoforte mentre gridava, ubriaco, «viva Hitler».
Maduro ha chiesto una riunione straordinaria del blocco regionale Unasur, respingendo quella dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), perché asservita a Washington. E Mosca, contro le ingerenze straniere, ha chiesto a Caracas di installare basi militari nel paese, ma il governo non ha consentito.
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