Obama e Francesco. Un faccia a faccia fuori dal protocollo

Obama e Francesco. Un faccia a faccia fuori dal protocollo

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CITTÀ DEL VATICANO — La mano di Raffaello e quella di Francesco. Alle 10.25 Barack Obama ha l’aria emozionata mentre dal Cortile di San Damaso sale alla Seconda loggia del Palazzo Apostolico e percorre l’intero tragitto verso la biblioteca privata del Papa con gli occhi rivolti agli affreschi e alle decorazioni delle volte, e ancora di più quando abbassa lo sguardo e davanti a sé vede Bergoglio che lo aspetta in piedi davanti alla soglia, nella sala del Tronetto: le mani si stringono, «Grazie, grazie, è meraviglioso incontrarla» mormora il presidente americano, e Francesco gli sorride sobrio, lo stesso stile di quando si presentò ai fedeli dicendo «buonasera», e ribatte semplicemente: «Benvenuto».
Per una volta il classico aggettivo «cordiale», che nei comunicati si tende a ripetere ad ogni incontro con un capo di Stato, definisce con sufficiente precisione quanto accade: cordiale ma «vero», senza veli o finzioni diplomatiche, su ciò che unisce e ciò che invece ancora divide. Prima e dopo il colloquio privato Bergoglio ha l’aria seria e un po’ annoiata mentre i due protagonisti devono sostare davanti ai flash dei fotografi, piuttosto sorride mentre parlano tra di loro e scoppia a ridere quando Obama, usciti dalla biblioteca e davanti ai seguiti schierati in attesa, gli fa notare: «Santità, lei è probabilmente l’unica persona al mondo che deve subire più protocollo di me».
Cinquantadue minuti faccia a faccia, anche considerando la presenza degli interpreti tra inglese e spagnolo, vanno ben oltre la mezz’oretta di prassi. E ad essi si aggiungono i trenta minuti tra Obama e il Segretario di Stato Pietro Parolin. Alla fine il comunicato ufficiale, diffuso dal Vaticano e concordato, esordisce dicendo che «i cordiali colloqui hanno permesso uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all’attualità ?internazionale, auspicando per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte». E fin qui (quasi) tutto tranquillo: il Papa e Obama parlano soprattutto di Medio Oriente, la giornata di «digiuno e preghiera» che Francesco proclamò a settembre per «scongiurare l’aggravarsi della violenza» ebbe un peso decisivo nel fermare l’intervento meditato dagli Usa e del resto la linea negoziale della Santa Sede vale per tutte le situazioni di crisi, dal centro Africa all’Ucraina, e sostiene anche il piano del segretario di Stato americano John Kerry per arrivare alla pace tra israeliani e palestinesi. Proprio ieri, tra l’altro, la Santa Sede ha diffuso il programma di Francesco in Terrasanta, dal 24 al 26 maggio fra Amman, Betlemme e Gerusalemme, e padre Lombardi ha confermato che la preparazione del viaggio va avanti: «Si è consapevoli che in Israele vi è una situazione di tensione sindacale, ma si auspica che si possano riprendere al più presto i contatti formali con le autorità competenti per l’adeguata preparazione della visita del Papa».
Ma il comunicato spiega pure che «ci si e? soffermati su questioni di speciale rilevanza» per la Chiesa negli Usa, «come l’esercizio dei diritti alla liberta? religiosa, alla vita e all’obiezione di coscienza»: l’annosa questione legata alla riforma sanitaria di Obama, con le assicurazioni obbligatorie a coprire anche contraccettivi e farmaci abortivi, che da tempo divide amministrazione e vescovi Usa. E qui le versioni divergono: se Obama dice che ne ha discusso «dettagliatamente» con il cardinale Parolin, mentre con il Papa si è parlato soprattutto della «inquietudine per i poveri, gli emarginati, e la globalizzazione delle disuguaglianze che continuano ad aumentare», in Vaticano chiariscono che tra il presidente Usa e Francesco sono stati affrontati tutti i temi: «Nessuna distinzione di contenuti, come se avessero una diversa rilevanza».
Del resto non è nello stile di Francesco offrire una sponda a chi ancora vorrebbe sfruttare politicamente il tema dei valori etici. Ciò che ha ripetuto ieri ai politici italiani vale a ogni latitudine: guai ai «sepolcri imbiancati» che ripetono «si deve fare» e scivolano «da una teologia di fede a una teologia del dovere» dove «non c’è posto per il Signore buono, che ci ama». E Obama lo sa, più tardi ammette che «Sua Santità è stato chiaro: su alcune cose sono d’accordo, su altre parzialmente», si dice «commosso per la sua la sua attenzione agli esclusi» e assicura conciliante: «Mi impegno che tutti possano accedere alla sanità, che ci sia libertà religiosa, la legge ne tenga conto e la libertà di coscienza venga rispettata». E poi la difesa della vita ha a che fare con tutta la vita: Francesco e Obama parlano pure della riforma migratoria — un problema che negli Usa riguarda anzitutto i latinoamericani cattolici — e del «comune impegno nello sradicamento della tratta di esseri umani nel mondo», temi che li avvicinano. Nella Evangelii Gaudium il Papa ha parlato di questo «crimine mafioso e aberrante» citando la Genesi: «Vorrei che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: «Dov’è? tuo fratello? Dov’è ?quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che usi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perche? non è? stato regolarizzato?». Alla fine Obama invita Bergoglio alla Casa Bianca («Perché no?») e gli chiede «di pregare per me e la mia famiglia». Francesco gli dona una copia dell’esortazione, «la leggerò quando nello Studio Ovale mi sentirò profondamente frustrato, sono sicuro che mi darà forza e calma». E il Papa, in un sorriso: «Lo spero».
Gian Guido Vecchi


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