Ma la Nato in Europa sta giocando al ribasso
BRUXELLES — L’ultima volta fu due anni fa, aprile 2012: ultima esercitazione congiunta fra Russia e Nato, al computer, simulazione di una difesa antimissilistica. Ma da allora, e già prima di allora, quante cose erano e sono successe. Negli ultimi 10 anni, Vladimir Putin ha aumentato del 79% le spese militari della Russia e oggi vi dedica il 4,5% del suo prodotto interno lordo. Nello stesso periodo i 28 Paesi Nato, piccoli o grandi, tagliavano alla grande i loro bilanci, incalzati dalla recessione economica. Giù le armi, almeno nei registri contabili: i militari dell’Alleanza, da 1.940.342 che erano nel 2006, sono scesi a 1.453.028 nel 2012. Il Canada ha abbattuto le sue spese militari per una somma pari al 7,6%, del Pil, l’Ungheria per l’11,9%, la Spagna per l’11.9%, l’Italia per l’10,3% (prima del presunto cambio di rotta sugli F-35). E così via.
Oggi gli Usa, che pagano il 72% di tutti i conti Nato, spendono in armi il 4% del loro Pil, meno della Russia. Secondo i dati dell’Agenzia europea della difesa e di altre fonti ufficiali, la Germania sta all’1,3% la Francia all’1,9%, l’Italia all’1,2%, e la spesa minima prevista per essere membri a pieno titolo della Nato è (sarebbe) pari al 2% del Pil nazionale. E se Mosca azzannasse di colpo un’altra Crimea, magari il bacino ucraino del Don? Lo «spread» fra i titoli di Stato, scherza un ufficiale nella sala mensa del quartier generale Nato a Bruxelles, non basterebbe a respingere i cosacchi. La Nato e il Pentagono promettono piena copertura ai Baltici e alla Polonia. Ribatte l’acre Wall Street Journal : «I tagli ai bilanci hanno reso più difficile la possibilità di adempiere ai compiti più importanti della Nato», e oggi abbiamo sul campo «forze che non sono pronte, né addestrate, né sufficientemente armate».
È per tutte queste ragioni che Barack Obama, l’altro giorno a Bruxelles, ha detto di essere preoccupato «per le spese della difesa in calo fra alcuni nostri alleati Nato». È sempre per le stesse ragioni che Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato, si è rivolto a Obama con parole che avevano il tono di un appello: «La difesa collettiva dei nostri alleati è un obiettivo primario per la Nato e io mi unisco a lei, signor presidente, nella sua richiesta di misure aggiuntive, così da rafforzare la nostra difesa collettiva: misure che includano piani di difesa aggiornati e più avanzati, esercitazioni rafforzate e spiegamenti appropriati di forze». Libera traduzione in chiaro, dal prudentissimo codice diplomatico: stiamo, state spendendo o facendo troppo poco, alcuni governi non fanno la loro parte, così ci indeboliamo mentre i nostri avversari o potenziali avversari non si distraggono e non lesinano i fondi, grazie anche ai loro gasdotti.
Eppure è da anni, prima e durante Obama, che Washington riduce il suo apporto alla Nato, forse per indurre gli alleati ad essere più generosi: verso il 1998 volavano 800 aerei militari americani nei cieli europei, oggi sarebbero più o meno 130.Lo stesso Obama ha fatto capire di recente che le spese militari americane saranno ridotte entro un paio d’anni al livello più basso dai tempi del dopoguerra, e questo significherà il quasi-digiuno per le casse della Nato. Come in una gigantesca partita a poker, 28 giocatori stanno seduti allo stesso tavolo davanti a un piatto vuoto, guardandosi di soppiatto: e ognuno, quando tocca a lui la parola, spera di cavarsela con il classico «passo», o al massimo di buttar nel piatto un innocuo «chip», la minima delle puntate. Ma questa volta, a distribuire le carte, è l’uomo del Cremlino, e nessuno sa bene quanti «jolly» si nascondano nel mazzo. I documenti della Nato disegnano bene quanto sia pesante la situazione. Come in questo caso, testuale: «Il sistema raggiungerà la sua piena capacità operativa nella prima metà del prossimo decennio». Cioè entro il 2025. E il «sistema» di cui si parla è lo scudo contro i missili balistici progettato dalla Nato per il suoi 28 Paesi membri, cioè l’arma più completa, più indispensabile e urgente di difesa .
A febbraio, nel quadro di questo progetto, ha gettato le ancore in un porto spagnolo l’incrociatore americano lanciamissili Donald Cook ; si avvale di Aegis, un sofisticato sistema radar, e con i suoi missili intercettori può individuare, tracciare e abbattere missili balistici intercontinentali (per esempio in arrivo dalla Russia, dalla Cina, dalla Corea del Nord). Secondo i progetti, al Donald Cook si aggiungeranno altri 3 incrociatori. Pattuglieranno tutto il Mediterraneo, pronti ad intervenire a fianco della Nato. Grazie anche a batterie antimissili terrestri che proteggeranno la Romania e la Polonia: nel primo caso dal 2015, e nel secondo dal 2018. La copertura totale di tutti i Paesi membri, hanno spiegato autorevoli fonti Nato, sarà un «obiettivo a lungo termine» dell’Alleanza, che garantirà «protezione piena alla popolazioni europee». Sempre che molto prima, al Cremlino, dal mazzo non salti prima fuori un altro «jolly».
Luigi Offeddu
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