Primo maggio precario contro l’Expo
Sono stati chiamati «sentinelle». Da maggio a dicembre 2015 spunteranno dappertutto a Milano durante l’Expo. Stazioni, aeroporti, strade e gli stand del mega evento espositivo, ovunque spunti il brand che oggi circola negli spot sulla Rai o sulle tazzine del caffè. Sono i «volontari» targati Expo. Ne servono 475 al giorno, per sei ore a rotazione, per i sei mesi della durata del «grande evento». Il modello è quello offerto dalle olimpiadi a Londra nel 2012, anch’esse sorrette da un esercito di volontari. Oggi a Milano si parla di 9 mila persone. Per reclutarle è in arrivo un bando.
L’accordo sulla flessibilità del lavoro a termine e sugli stage per l’Expo 2015 firmato il 23 luglio 2013 da Cgil, Cisl, Uil, Filcams Cgil, Fisacat Cisl e UilTucs con l’amministratore delegato di Expo 2015 Giuseppe Sala, prevede in realtà 18.500 persone, giovani e meno giovani, che lavoreranno gratis. Gratis, a differenza delle 835 persone che saranno assunte mediante contratto di apprendistato da 7 o 12 mesi. Secondo l’accordo 340 giovani under 29 anni parteciperanno ad un percorso formativo rispettivamente di 70 e 120 ore per il conseguimento delle qualifiche di «operatore Grande Evento», «specialista grande Evento» o di «tecnico sistemi di gestione Grande Evento». Nel novembre 2013, il sito milano?-fiera?.net ha segnalato la costituzione di uno sportello regionale «ScuolaVolontariato» presso l’Istituto Agnesi di Milano. Il suo obiettivo è di reclutare i volontari. La selezione verrà gestita dai Centri di servizio per il volontariato (Csv) che si rivolgeranno al terzo settore e dai sindacati a cui è stato attribuito il compito di formare i volontari selezionati. In questi mesi partiranno inoltre le procedure per l’assunzione di altri 300 lavoratori per i ruoli di supporto e segreteria e di 195 stagisti con un rimborso da 516 euro mensili. Il 10% di queste assunzioni a termine verranno effettuate tra i lavoratori che si trovano in cassa integrazione straordinaria o in deroga, sono in mobilità o in disoccupazione. Con ogni probabilità, al termine dell’esposizione, torneranno ad essere precari in attesa di una chiamata in occasione di una fiera, un festival o un intrattenimento prodotto dal bacino del lavoro immateriale milanese.
Uno degli aspetti più inquietanti dell’accordo Expo è la distinzione di un doppio livello tra precari e volontari: da una parte ci sono i contrattisti a termine (apprendisti e stagisti), dall’altra parte ci sono le «sentinelle» che lavorano gratis e devono dimostrare di condividere i valori dell’Expo: «nutrire il pianeta» e «assicurare un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile». Valori, in effetti, difficili da non condividere. L’Expo 2015 chiede ai volontari di farlo senza dare in cambio nulla, solo l’impegno gratuito del proprio tempo.
Enrico Letta avrebbe voluto applicare questo accordo a livello nazionale. Tra l’altro, l’intento era di abolire la causale sul contratto a termine. Cosa mai avvenuta per i veti tra le parti sociali e i partiti della sua maggioranza. Fino a quando al governo è arrivato Matteo Renzi che ha abolito la causale per 36 mesi (3 anni), precarizzando a vita tutti i lavoratori. Per questo il collettivo San Precario sostiene che l’accordo Expo ha fatto da volano alla totale liberalizzazione dei contratti a termine e di apprendistato prevista dal «Jobs Act». Un esito che l’appello «Grandi eventi, piccoli diritti» pubblicato da Il Manifesto il 3 agosto 2013 e firmato, tra gli altri, da Piergiovanni Alleva, Umberto Romagnoli, Andrea Fumagalli, Roberto Maggioni, Luciano Muhlbauer, chiedeva di scongiurare. Dopo il contrasto delle «grandi opere» come il Tav, la rete «No Expo» insieme agli attivisti del primo maggio milanese della MayDay denunciano un altro aspetto dei «grandi eventi»: oltre alla cementificazione e alla speculazione, c’è il lavoro gratuito e l’iper-precarizzazione dei contratti che compromettono il futuro delle nuove generazioni. Il corteo a Milano del 1 maggio 2014, e quello del 2015 in coincidenza dell’avvio dell’Expo, sfileranno contro questo modello di sviluppo. «L’unica grande opera che vogliamo è il reddito» ripetono gli attivisti.
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