by redazione | 3 Marzo 2014 11:38
Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera
L’assalto al parlamento di Tripoli di decine di manifestanti armati, al grido «dimissioni!» rivolto ai deputati in sessione, due dei quali sono stati feriti. L’assassinio di un ingegnere francese a Bengasi, dove l’uomo lavorava nella ristrutturazione delle strutture sanitarie. E ancora: le dimissioni del capo della costituente, poche ore dopo l’annuncio dei risultati del voto per la commissione incaricata di mettere a punto la prima Costituzione democratica della Libia. Una Carta che dovrebbe segnare una svolta cruciale per l’ex Jamahiriya: a tre anni dalla rivoluzione il Paese è sempre più preda di divisioni politiche, tribali e regionali, con violenze quotidiane ovunque e un’economia in serio pericolo nonostante il petrolio.
In questo scenario già cupo ieri è stato però un giorno davvero negativo per la Libia, culminato in quell’invasione del palazzo dove ha sede il Congresso generale nazionale (Cgn), la più alta autorità politica del Paese ovvero il parlamento ad interim che in febbraio avrebbe dovuto dimettersi ma che aveva invece deciso di prorogare il proprio mandato fino a dicembre. Il prolungamento al potere — ben poco potere in realtà, vista la scarsa influenza del Ggn sulle decine di milizie armate e su gran parte del Paese — aveva destato subito proteste con migliaia di persone in piazza e richieste di dimissioni immediate per la palese incapacità del Cgn nel garantire la sicurezza e un futuro ai libici. Sabato di fronte all’edificio si era tenuto un nuovo sit-in, contemporaneo a una manifestazione nella piazza dei Martiri, l’ex piazza Verde di Gheddafi. E’ stato al primo raduno che sono scoppiate violenze nella notte di sabato: un gruppo di uomini armati hanno fatto irruzione sparando in aria e bruciando una tenda dei manifestanti. Secondo questi ultimi, gli assalitori apparterebbero alla «Cellula di operazioni rivoluzionarie», ex ribelli agli ordini del Cgn che avrebbero poi sequestrato alcuni loro compagni. E’ stato per chiedere il loro rilascio che ieri sera i manifestanti hanno dato l’assalto al parlamento, sfasciando mobili e bruciando la poltrona del presidente dell’assemblea. Per i loro compagni e per insistere che il Cgn si dimetta.
«Sono entrati in decine, urlavano andatevene — ha detto alla France Presse una deputata —. Molti di loro erano giovani e tanti avevano coltelli e bastoni». Non solo: due membri del Congresso sono stati feriti da armi da fuoco mentre cercavano di scappare in auto. Altri sarebbero stati picchiati, alunne vetture date alle fiamme. Nessuna reazione politica è arrivata ieri sera dal Cgn, se non la tacita e ennesima constatazione dell’anarchia che regna in Libia. E delle difficoltà dell’autorità politica nata dal crollo del regime a gestire perfino la transizione, anche perché divisa al suo interno soprattutto tra islamici e laici.
Un altro grave segnale d’allarme era arrivato poco prima con le dimissioni a sorpresa di Nuri Al Abari, seguite da quelle di altri due membri della costituente. Il voto in febbraio per eleggere la commissione di 60 uomini era stato segnato da violenze, in molti seggi non si era potuto votare e alla fine solo 47 nomi erano stati annunciati venerdì. Al Abari ieri non ha motivato la sua decisione di rinunciare all’incarico, che potrebbe essere respinta dal Cgn che ieri, al momento dell’assalto, stava dibattendo proprio questo dossier.
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