L’ex capo della sicurezza: «A Majdan c’era la Cia»
Da ieri sera Aleksandr Yakimenko impazza su tutte le reti televisive russe. Era il capo dei servizi di sicurezza ucraini con Yanukovic, è fuggito in Russia con l’altra faccia della medaglia della tragedia di Kiev e l’ha raccontata in tv. Lui sa molte cose, tra cui chi sono quelli che hanno messo in azione i cecchini che spararono contro poliziotti e dimostranti quel 20 febbraio. E ha fatto i nomi, uno dietro l’altro. E non si è fermato ai nomi degli ultimi e penultimi esecutori dell’operazione-diversione, ma è andato diritto alla definizione dei mandanti.
Papale papale: «Si tratta di uomini legati direttamente ai servizi segreti americani». Il centro di comando è «l’ambasciata americana a Kiev», alla quale dev’essere aggiunto il rappresentante a Kiev dell’Unione Europea, il «cittadino polacco» signor Tombinsky .
E giù un diluvio di rivelazioni. Probabilmente non tutte innocenti, ma certo molto credibili. Tanto più credibili visto che combaciano perfettamente con la famosa telefonata del ministro degli esteri estone Paet alla signora Catherine Ashton, capo della diplomazia europea, secondo la quale telefonata, a sparare «anche» contro i dimostranti non fu la polizia ucraina ma furono cecchini «assoldati dalle opposizioni».
Le accuse sono una più grave dell’altra, una più infamante dell’altra. E, se le televisioni russe le riproducono con tanta ampiezza, ciò vuol dire soltanto una cosa: che Putin non solo non intende retrocedere di un millimetro, ma intende contrattaccare politicamente, diplomaticamente e anche dal punto di vista della comunicazione.
Yakimenko chiama in causa l’ex presidente ucraino Yushenko, il vincitore, con Julia Timoshenko, della ormai sfiorita rivoluzione arancione. È stato lui a lasciar moltiplicare i campi paramilitari in cui si sono allenati al golpe i nazisti e gli estremisti nazionalisti di Stepan Bandera. Solo quando arrivò Yanukovic i campi furono spostati.
Non chiusi ma spostati. E dove? In Polonia, in Lettonia, in Lituania. Ma il fatto è che neppure Yanukovic decise di chiudere quei campi. Continuava il doppio gioco di un colpo al cerchio e di uno alla botte, per tenere buoni russi e americani. Né Yakimenko spiega il suo ruolo in questa vicenda. L’influenza degli Stati Uniti e dell’Europa erano già troppo forti per poter essere contrastate
Insomma l’ex capo della polizia politica ucraina comunica che l’eversione in Ucraina ha origini lontane. Non è stata né spontanea, né improvvisata. Ha fatto parte di un piano strategico nato negli Stati uniti e che ha avuto come esecutori materiali un gruppo di paesi dell’Unione europea.
Certo in piazza c’erano migliaia e migliaia di persone. Ma a guidarle e a imprimere una svolta eversiva sono stati uomini armati e bene addestrati da tempo, scatenati da una serie di comandi molto precisi. Fino alla tremenda sceneggiata, costata quasi un centinaio di morti e oltre 800 feriti, che servì a coprire di infamia il presidente Yanukovic, lordato di un sangue che non aveva voluto e saputo provocare, ma la cui fuga fu applaudita da tutto il «mondo libero», indignato per la sua ferocia.
Adesso Yakimenko ci comunica che quei cecchini furono individuati: sparavano dal palazzo della Filarmonica, erano una ventina, «bene armati, bene equipaggiati, con fucili di precisione dotati di cannocchiale». Gli uomini della Sicurezza interna erano nella piazza, mescolati alla folla e – dice Yakimenko – videro tutto. Videro e riferirono.
«E non furono gli unici a vedere». Anche i leader di alcuni gruppi estremisti videro. Tanto che – insiste Yakimenko con le sue rivelazioni – si misero in contatto con lui chiedendogli di porre fine alla mattanza facendo intervenire la sue «teste di cuoio», il famoso o famigerato «Gruppo Alfa».
Yakimenko parla dunque di una trattativa che si svolse tra lui e i rappresentanti di Svoboda e di Settore Destro. Forse – dice – lo fecero per «crearsi un alibi». Forse perché non erano loro, ma altri, ad avere organizzato la mostruosa operazione diversiva. Resta il fatto che Yakimenko si dichiara pronto a intervenire, purché il comandante della Piazza Maidan, Parubij, garantisca che i suoi uomini armati (teoricamente là per difendere Yanukovic) non gli spareranno alla schiena mentre entra in azione con Alfa.
Ma Parubij era già emigrato nel campo di Agramante e non fece nessuna promessa. Così viene fuori, dalle parole di Yakimenko, che gli Usa avevano ormai costruito una rete di comando e di influenza che penetrava in tutti i settori cruciali dello stato ucraino. Un gruppo di persone, tutte decisive nel controllo delle forze di sicurezza, visitavano l’ambasciata Usa «tutti i santi giorni». C’era tra loro l’ex ministro della Difesa Grizenko; c’era Nalivàichenko, ai vertici del Cbu (colui che il vice presidente Usa Joe Byden definì «il mio uomo a Kiev»); c’erano Poroshenko, Malamuzh, Gvozd, tutti alti funzionari della polizia; c’erano agenti dei servizi segreti del Ministero della Difesa; c’erano mercenari della ex Jugoslavia, e di altre provenienze.
Parubij è stato promosso al rango di Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’attuale governo. Nalivàichenko occupa ora il posto che fu di Yakimenko. Hanno fatto carriera con Majdan. L’Europa, in quanto tale, sprofonda più che nella vergogna, nel ridicolo, trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con l’autorevole copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un’avventura che non era stata nemmeno discussa. E che non è europea, ma americana.
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