La minoranza pd spiazzata: ha detto cose di sinistra
«Ma sta facendo un discorso di sinistra…». Gianni Cuperlo, il competitor di Matteo Renzi alle primarie dell’otto dicembre dello scorso anno assiste alla conferenza stampa di Matteo Renzi in televisione e mano a mano che il presidente del Consiglio parla sgrana gli occhi. «Questo era nel mio programma, quest’altro pure», sussurra il deputato della minoranza del Pd che un mesetto fa si è dimesso dalla presidenza dell’assemblea del partito. Poi, siccome l’uomo è spiritoso e autoironico, aggiunge: «Stasera telefono ai miei nove elettori delle primarie e spiego loro che non hanno sprecato il voto che mi hanno dato perché una parte della mia piattaforma è stata assunta dal premier». Risate e pacche sulle spalle.
In un corridoio della Camera dei deputati la parte più dialogante della minoranza del Pd ascolta il discorso dell’inquilino di Palazzo Chigi con un certo interesse. «È un intervento di sinistra, non c’è che dire», commenta il dalemiano Enzo Amendola, che fa mostra di apprezzare certi passaggi della conferenza stampa del leader del partito.
Così, nel giro di pochissimo tempo il segretario-premier ha rovesciato una giornata che sembrava destinata a non andare affatto bene per il governo e, tanto meno per lui. Dopo una «due giorni» massacrante sulla riforma elettorale, in cui un drappello di bersaniani duri e puri — una quarantina circa — soprannominati alla Camera «quelli dell’ultima raffica di Salò», ha sempre votato contro la linea del Pd, nessun intervento in Consiglio dei ministri sul cuneo fiscale, niente detrazioni fiscali in busta paga a fine aprile. Insomma, le condizioni per dare di nuovo voce all’opposizione interna c’erano tutte.
E invece che cosa è successo? Adesso, proprio adesso che la sinistra del Pd si apprestava a dare battaglia sul «Jobs act» e a far ballare il governo Renzi anche su questa materia come aveva già fatto sulla riforma elettorale, il presidente del Consiglio ha spento gli ardori e le speranze dei suoi avversari. I quali, a dire il vero, nel pomeriggio si erano fatti qualche illusione sulla possibilità di condizionare il segretario. Alla Camera i più agguerriti deputati della minoranza incontravano Pier Lugi Bersani, che è tornato alla grande. L’ex segretario in questi giorni consulta, riceve, dà consigli. Nega di avercela con il successore alla guida del Nazareno. «Io — ha spiegato ai suoi interlocutori — non nutro nessun rancore nei confronti di Renzi, mi cuciono addosso un atteggiamento che non ho. La verità è che il premier è circondato da dilettanti. Lui è un grandissimo comunicatore, ma se mancano i contenuti non c’è niente da fare. Hanno fatto grandi annunci, però non ci sono i provvedimenti di cui avevano parlato per giorni».
Insomma, Bersani si aspettava che la giornata per Renzi finisse male. E a dire il vero questa sensazione la avevano un po’ tutti. Anche il capogruppo Roberto Speranza — Bob Hope, come lo chiama scherzando il segretario premier — era preoccupato per la performance pomeridiana di Renzi e per i possibili contraccolpi sulla minoranza del partito. Tanto più dopo che lo sfogo del presidente del Consiglio nei confronti dei deputati che avevano messo i bastoni tra le ruote della riforma della legge elettorale aveva fatto fibrillare molti bersaniani, e non solo loro. Però, dopo l’exploit di Matteo Renzi in televisione, le voci che si sono levate dalla sinistra del Partito democratico non sembravano affatto ostili.
Persino su quella parte del «Jobs act», che per una fetta del Pd è più difficile da digerire, in tanti hanno preferito glissare. Così Cesare Damiano ha sottolineato che il presidente del Consiglio «va nella giusta direzione». E addirittura Stefano Fassina, che non risparmia mai una critica al segretario-premier, ha dovuto ammettere che, tutto sommato, Renzi non sbaglia, soprattutto quando «propone l’allentamento della morsa dell’austerità per il lavoro».
Maria Teresa Meli
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